Che la mobilità intesa come insieme degli strumenti per lo spostamento delle persone da un punto fisico “X” a un punto fisico “Y” sia in profonda e rapida trasformazione a livello planetario, è un fatto oramai incontrovertibile. Obbligate dalle decisioni governative internazionali conseguenti all’emergenza climatica e da una accresciuta sensibilità ambientale, praticamente tutte le aziende automobilistiche hanno attivato programmi, più o meno ambiziosi, di conversione dalla mobilità termica tradizionale a quella elettrica e/o idrogeno, in ogni caso senza emissioni nel ciclo dell’utilizzo.
Fino a poco tempo fa questo processo sembrava inarrestabile e privo di dubbi, nonostante qualche sporadica voce ancora contraria, considerata alla stregua di quei soldati giapponesi sperduti nelle isole del pacifico ancora a difendere l’impero giapponese a guerra abbondantemente finita (ogni riferimento a Akio Toyoda, storico CEO di Toyota e nemico giurato della propulsione elettrica è puramente voluto)
Negli ultimi mesi però è iniziato a spirare in Europa un vento contrario alla mobilità elettrica, un vento che da leggera brezza si è man mano rinforzato sino a divenire una sorta di burrasca e l’Italia pare essere divenuta l’epicentro di questo fronte nuvoloso.
Le fake news
Chi ha frequentato i principali social network nelle ultime settimane ne ha avuto la chiara e netta sensazione: un fiorire di account dai nomi più fantasiosi che hanno iniziato a postare e condividere (presunte) notizie di incidenti e incendi di automobili dovuti a difetti delle batterie. Centinaia di post con immagini di bambini africani con in testa ceste di terra che il post riferiva all’estrazione del cobalto destinato alle batterie, di battute al vetriolo contro i possessori di auto elettriche, tutti condivisi di continuo da un numero crescente di pagine e account.
Se all’inizio questi post erano rari e poco condivisi, oggi se ne vedono di continuo scrollando Facebook o Instagram e ciò senza apparenti o validi motivi tecnici. Poi è subentrato il gravissimo incidente dell’autobus elettrico caduto dal cavalcavia di Mestre, causando la morte di molte persone, che ha scatenato illazioni e accuse contro la mobilità elettrica, tutte smentite in primis dai pompieri intervenuti che hanno chiarito che la batteria non è stata la causa né dell’incidente né tantomeno della morte di quelle sfortunate persone.
Ma la verità, lo sappiamo oramai bene, nel turbine dei social conta poco. È facile trovare un “responsabile” e allargare la discussione contro la mobilità elettrica in generale. In quel caso, la polemica è fuoriuscita dall’ambito dei social per arrivare in televisione e sui media tradizionali. Il dubbio che l’incidente fosse imputabile alle batterie è aleggiato per settimane nei programmi e nei dibattiti televisivi pure in assenza di qualunque prova in tal senso e le smentite dei tecnici.
I riflessi in Italia
Gli effetti di questa campagna ostile si sono visti nei dati di vendita delle auto elettriche degli ultimi mesi. L’Italia oggi è ultima a livello Europeo nelle vendite, superata pure da Paesi tradizionalmente poco attenti ai temi ambientali, come Grecia e Romania.
Siamo indietro nelle vendite e siamo indietro sulle politiche industriali. Al Governo e a Confindustria non è parso vero di avere l’occasione di screditare il passaggio all’elettrico ma tutto questo chi danneggerà se non i lavoratori dell’industria automobilistica e i cittadini?
La polemica ha raggiunto livelli così alti, anche a livello europeo, che a un certo punto sono dovuti intervenire personaggi come Luca De Meo, Amministratore Delegato di Renault, e poi Confindustria europea per precisare che indietro non si può più tornare, che oramai i programmi di sviluppo delle auto elettriche sono avviati e i miliardi di euro investiti sono troppi per fermare tutto.
Un futuro che non può aspettare
Resta il dubbio se dietro questa campagna mediatica ci sia una ben pianificata e finanziata operazione e quale sia il reale obiettivo. La fine della mobilità spinta dalle fonti fossili non è più in discussione dopo la decisione dell’UE di vietare dopo il 2035 la vendita delle auto termiche. Ritardare la conversione dell’industria italiana dell’automobile, tradizionalmente leader globale in molti settori dell’automotive, non farà altro che facilitare acquisizioni a prezzi stracciati di marchi storici, stabilimenti, macchinari e know how, indeboliti dalla sempre maggiore concorrenza straniera.
In questa fase di transizione complessa, una delle poche certezze è quella di un Governo incapace di attivare politiche industriali di rilancio, incerto su quale strada veramente intraprendere e, nei fatti, complice di chi vuole indebolire lo storico sistema industriale italiano dell’automobile.