Lo stato di salute del Servizio Sanitario Nazionale italiano è preoccupante e la manutenzione ordinaria non basta più. La politica deve scegliere se avviare una stagione di riforme e investimenti in grado di permettere alla sanità pubblica di adempiere alla sua missione originaria sancita dalla Costituzione o ammetterne l’insostenibilità e governare un non auspicabile processo di trasparente privatizzazione. L’allarme è stato dal 6° Rapporto GIMBE sul Servizio Sanitario Nazionale.
La sanità pubblica è stata usata come bancomat da tutti i governi
L’articolo 32 della Costituzione italiana afferma che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Questo diritto è stato eroso nel corso degli anni con continui tagli alla sanità pubblica, basti pensare che nel periodo pre-pandemico 2010-2019 il totale delle somme sottratte al SSN è stato di 37 miliardi di euro. Nel biennio 2020-2022, anche se il Fondo Sanitario Nazionale ha conosciuto un aumento complessivo di € 11,2 miliardi, questo rilancio del finanziamento pubblico è stato di fatto annullato dai costi della pandemia COVID-19, senza consentire rafforzamenti strutturali del SSN e senza mettere in ordine i bilanci delle Regioni. La Legge di Bilancio 2023 ha incrementato il FSN per gli anni 2023, 2024 e 2025, rispettivamente di € 2.150 milioni, € 2.300 milioni e € 2.600 milioni, tuttavia, avverte la Fondazione GIMBE, nel 2022 e nel 2023 l’aumento percentuale del FSN è stato inferiore a quello dell’inflazione. «I princìpi fondanti del SSN, universalità, uguaglianza, equità – ha esordito il Presidente Nino Cartabellotta – sono stati traditi. Oggi sono ben altre le parole chiave che definiscono un SSN ormai al capolinea e condizionano la vita quotidiana delle persone, in particolare delle fasce socio-economiche meno abbienti: interminabili tempi di attesa, affollamento dei pronto soccorso, impossibilità di trovare un medico o un pediatra di famiglia vicino casa, inaccettabili diseguaglianze regionali e locali sino alla migrazione sanitaria, aumento della spesa privata sino all’impoverimento delle famiglie e alla rinuncia alle cure».
Il costo della sanità pubblica per il 2022 è stato di € 171.867 milioni di cui € 130.364 milioni di spesa pubblica (75,9%), € 36.835 milioni di spesa out-of-pocket (21,4%), ovvero a carico delle famiglie e € 4.668 milioni di spesa intermediata da fondi sanitari e assicurazioni (2,7%). La spesa sanitaria pubblica del nostro Paese nel 2022 si attesta al 6,8% del PIL, sotto di 0,3 punti percentuali sia rispetto alla media OCSE sia alla media europea (7,1%). Il progressivo aumento del gap della spesa sanitaria con la media dei paesi europei dimostra come tutti i governi hanno spesso utilizzato la sanità pubblica come un bancomat da cui attingere. L’obiettivo dichiarato di “continuo aggiornamento dei LEA (Livelli essenziali di assistenza), con proposta di esclusione di prestazioni, servizi o attività divenuti obsoleti e di inclusione di prestazioni innovative ed efficaci, al fine di mantenere allineati i LEA all’evoluzione delle conoscenze scientifiche” non è mai stato raggiunto.
Il regionalismo differenziato accrescerà le disuguaglianze tra Nord e Sud
Un altro problema non più rinviabile è la mobilità sanitaria. Il flusso economico da Sud verso Nord certifica una frattura strutturale sempre più profonda tra le regioni italiane. Si sta, avverte la Fondazione GIMBE, lentamente scivolando verso 21 sistemi sanitari regionali regolati dalle leggi del libero mercato. Questo indebolisce il principio di equità nell’accesso alle cure, che invece dovrebbe essere garantito costituzionalmente. I viaggi della salute dei cittadini del Mezzogiorno verso le regioni settentrionali rischiano di aumentare se andasse in porto il regionalismo differenziato. La maggiore autonomia nella sanità, richiesta proprio dalle Regioni con le migliori prestazioni sanitarie e capacità di attrazione, sarà causa di profonde disuguaglianze. Il rapporto ritiene che i dati relativi al 2021 sottostimano la carenza di personale e le differenze regionali sono molti rilevanti, in particolare per il personale infermieristico, maggiormente sacrificato nei Piani di rientro regionali. Se è vero che l’Italia si colloca sopra la media OCSE per numero di medici ogni mille abitanti (4,1 vs 3,7), è altrettanto verso che c’è un gap rilevante tra i medici attivi e quelli in quota SSN. Al contrario, il numero di infermieri ogni mille abitanti è ben al di sotto della media OCSE (6,2 vs 9,9).
Rilanciare il SSN per garantire il diritto di cura a tutti
La Fondazione GIMBE, con il Piano di rilancio del SSN, conferma che la bussola per un reale rilancio della sanità pubblica dovrà restare l’articolo 32 della Costituzione per osteggiare una privatizzazione strisciante e non governata. Tra le proposte incluse nel rapporto si segnala la promozione del principio ONE HEALTH, un approccio integrato alla gestione della salute perché la salute dell’uomo, degli animali, delle piante e dell’ambiente, ecosistemi inclusi, sono strettamente interdipendenti; il rilancio del finanziamento pubblico e la garanzia di uniformità dei LEA in tutto il territorio nazionale; si dovrà investire sul personale sanitario e creare reti integrate che condividano percorsi assistenziali, tecnologie e risorse umane, al fine di superare la dicotomia ospedale-territorio e quella tra assistenza sanitaria e sociale. La rimodulazione dei ticket e le detrazioni fiscali per le spese sanitarie dovranno andare di pari passo con un riordino legislativo della sanità integrativa per arginare fenomeni di privatizzazione. Una maggiore attenzione dovrà riguardare il potenziamento dell’informazione istituzionale per promuovere corretti stili di vita, ridurre il consumismo sanitario, aumentare l’alfabetizzazione sanitaria della popolazione, contrastare le fake news e favorire decisioni informate sulla salute. Tutto ciò potrà essere favorito anche dalla transizione digitale. Infine, una proposta del GIMBE è di destinare alla ricerca clinica indipendente e alla ricerca sui servizi sanitari un importo pari ad almeno il 2% del fabbisogno sanitario nazionale standard.