Tecnicamente l’estate è già finita da un pezzo, ma le temperature di questo inizio ottobre ci dicono il contrario e da diversi giorni si sfiorano regolarmente i trenta gradi. Tutto in linea con le previsioni da tempo formulate dagli scienziati, concordi nel preannunciare inverni ridotti e più miti, con estati invece più lunghe e caratterizzate da forti ondate di calore, alluvioni ed eventi estremi.
Non ci sono più le mezze stagioni
Lo studio cinese pubblicato nel 2021 Changing Lengths of the Four Seasons by Global Warming diceva proprio questo, ponendo la questione di come sarebbero cambiate le stagioni nei prossimi anni a causa del riscaldamento globale. Lo stesso report scientifico ricordava come fino agli anni Cinquanta del Novecento le stagioni si fossero alternate con una sostanziale regolarità e prevedibilità, ma poi le cose sarebbero cambiate. Usando i dati climatici giornalieri i ricercatori avevano estrapolato un risultato significativo che evidenziava come negli ultimi sessanta anni l’estate metereologica sia passata da 78 a 95 giorni in media a fronte di una riduzione della durata di tutte e tre le altre stagioni. Questa tendenza nell’emisfero boreale sembrerebbe oggi già particolarmente evidente nel Mediterraneo e nell’altopiano tibetano. Ci siamo tutti ormai resi conto che primavera ed estate iniziano prima, mentre inverno ed autunno sistematicamente più tardi.
Le conseguenze sulla natura
Le stagioni non sono una convenzione da calendario, ma una caratteristica di una determinata area climatica. La vita e i nostri modelli di produzione alimentare vi si sono adattati, per cui cambiamenti così significativi non possono non avere delle conseguenze. È già sotto gli occhi di tutti come le piante tendano a nascere e fiorire in tempi differenti rispetto al passato e come gli uccelli stiano modificando i loro schemi migratori, conseguenza della modifica dei loro habitat e della conseguente diversa disponibilità di cibo. L’estate si è sicuramente allungata ma è anche cambiata, mandando ad esempio a maturazione gli stessi frutti nello stesso momento in regioni diverse e distanti, la qual cosa impedisce di differenziarne la produzione nel tempo e di conseguenza ne compromette la disponibilità in maniera continuativa su tempi più lunghi. Peraltro un caldo più intenso e prolungato significa anche più pollini e quindi più allergie, oltre che più zanzare potenzialmente e tradizionalmente veicolo di malattie. La previsione parla di un’estate che potrebbe allungarsi fino a sei mesi, proiettandoci in una realtà nuova e mai sperimentata. Non potremo fare altro che adattarci al cambiamento, ma resta imperativo invertire il trend, anche perché la sommatoria di più fattori rischia di produrre un’accelerazione foriera di conseguenze totalmente imprevedibili.
L’effetto sulle città
Questo scenario secondo un altro studio del 2019, condotto dai ricercatori del progetto Future Cities del Crowther Lab, modificherà significativamente il clima delle più grandi metropoli del mondo. Le previsioni a trent’anni parlano ad esempio di una Milano con un profilo climatico sovrapponibile a quello attuale di Austin in Texas (con 7,2 gradi in più nel periodo più caldo dell’anno), quello di Roma a quello attuale di Smirne in Turchia. Circa l’80% delle 520 metropoli più importanti al mondo sarà in futuro caratterizzato da un clima uguale a quello che oggi si registra mille chilometri più a sud. Gli studi chiariscono anche che la tendenza in corso si stabilizzerà almeno fino al 2060, come conseguenza dei danni già prodotti, e solo un cambio di rotta immediato potrà evitare che si superi il metaforico Rubicone del clima, quel punto di non ritorno oltre il quale l’umanità sarebbe condannata a sofferenze indicibili.
Non bisogna scoraggiarsi, non bisogna abbassare la guardia, a maggior ragione in Italia dove l’aumento medio della temperatura dal 1880 ad oggi è stato di 2,4 gradi centigradi, contro 1 grado a livello mondiale. Più del doppio, con buona pace dei negazionisti di casa nostra.