Mentre tutta l’Italia si dispera per l’uccisione cruenta e ingiustificata dell’orsa Amarena, simbolo dei parchi dell’Abruzzo – cuore verde del Paese, con i suoi 3 parchi Nazionali, un parco regionale e ben 40 tra aree marine protette, riserve nazionali e regionali – c’è un governo che invece il primo luglio 2023 vara con un decreto il “Piano straordinario per la gestione e il contenimento della fauna selvatica”.
Se andiamo a vedere cosa dice questo “Piano”, si rimane allibiti da alcuni passaggi che confliggono in maniera palese con la tutela dell’ambiente e in questo caso della fauna selvatica.
Le criticità
Andando a leggere l’allegato 1 del Piano si evidenziano subito alcune criticità: la prima è che quanto scritto è niente di più lontano dalla tutela dell’ambiente e degli animali; la seconda che è stato chiaramente scritto per liberalizzare l’uso di ogni mezzo per intervenire “selettivamente” all’eliminazione di specie dannose, ma si farebbe prima a dire “fastidiose”, dando il via libera quasi a chiunque di poter intervenire.
È chiaro, altresì, che le associazioni ambientaliste non sono state coinvolte, nè interpellate per redigere un documento del genere, dato che ne avrebbero sicuramente impedito o quanto meno contestato l’uscita.
Inoltre prima di approfondire il documento è bene chiarire che i termini “controllori” e “controllo”, non si riferiscono a coloro che saranno impegnati nelle azioni di tutela dell’ambiente e della fauna selvatica, bensì a coloro che saranno investiti dell’autorità di sopprimerla.
Analizzando nel particolare l’allegato 1 e scorrendo nei vari articoli si giunge al punto 2.3 “Selettività”, il più significativo. Saltano all’occhio subito alcuni passaggi: “Ridurre numericamente le classi delle femmine e dei giovani esemplari… per ridurre la capacità riproduttiva di talune specie e contenere rapidamente le presenze”. In questa breve frase ci sono due evidenti errori, forse anche tre, che sfuggono a chi ha scritto il Piano.
Grosse falle
Il primo errore è pensare che basti ammazzare le femmine per ridurre la riproduttività: è dimostrato che, i cinghiali ad esempio, all’uccisione di esemplari femmine, in seguito a campagne di caccia selettive, si riproducano in maniera incontrollata e con numeri crescenti proprio a causa della disgregazione del branco, entro il quale le dinamiche riproduttive, sono ben definite e più contenute. Insomma dove c’è grande attività venatoria, è accertato che il numero di cinghiali aumenta in maniera esponenziale.
Il secondo errore è quello di credere che questo tipo di attività possa ridurre “rapidamente” le presenze. Non basterebbe l’esercito per abbattere una grande percentuale di fauna selvatica per avvicinarsi agli obiettivi di ridimensionamento che pensano di raggiungere. Se si pensa che solo i cinghiali in Italia, secondo una stima al ribasso, conta una presenza di circa un milione e mezzo di esemplari.
Il terzo errore è la presunzione di avere soggetti, preposti al “controllo”, che durante una battuta di caccia, incrociando un branco di cinghiali, riesca, nella concitazione, a distinguere ed abbattere selettivamente, esemplari femmine, giovani e lasciar correre altri esemplari. Piuttosto viene da pensare ad una vera e propria mattanza senza distinzione e senza nessuna selettività, soprattutto guardando poi i mezzi che possono essere utilizzati per queste attività.
Guerra alla fauna selvatica
Qui veniamo ad un altro punto del piano dove viene specificato che: “Per le attività di “controllo” (le virgolette le aggiungiamo noi) non vigono i divieti di cui all’art. 21 della legge 157 del 1992, né i divieti di cui all’allegato F del decreto del Presidente della Repubblica italiana n. 357 del 1997 e dell’allegato IV della direttiva 2009/147/CE <uccelli>”.
In pratica annullano i divieti per la tutela degli animali e dell’ambiente previsti nei decreti citati e quindi permettono l’uso di armi, mezzi e strumenti vietati e la caccia in territori e zone tutelate.
Così scorrendo l’elenco delle armi che si possono usare (solo alcune per rendere l’idea): frecce con punta munita di lame, armi a ripetizione semiautomatica o automatica, esplosivi, dispositivi elettrici o elettronici in grado di uccidere, reti e trappole non selettive, veleni ed esche avvelenate, uso di gas.
Se poi guardiamo a tecniche e strumenti: ottiche di mira termiche, a infrarossi, laser, termocamere, richiami acustici di ogni tipo, animali impagliati, richiami vivi (erano vietati ma se i divieti “non vigono”…) anche accecati e mutilati, prendere e detenere uova, utilizzare veicoli a motore anche aeromobili, sparare in movimento (tipo caccia grossa nella savana), specchi e altri mezzi accecanti, fonti luminose artificiali.
Dove lo possono fare a detta di questo piano? Senza dilungarci troppo potremmo dire ovunque. Per citare i più clamorosi: parchi pubblici e privati, parchi nazionali e regionali, riserve naturali, oasi di protezione, aie e corti e fabbricati rurali, in pratica anche nei centri abitati, addirittura si può sparare e uccidere animali anche senza rispettare le più elementari norme di sicurezza, l’elenco sarebbe ancora lungo.
Le figure idonee al “controllo” potranno essere, anche qui, chiunque. Basta che abbia il porto d’armi e frequenti un corso di formazione abilitante se non l’ha già fatto: impiegati regionali, forestali, carabinieri, polizia provinciale e locale, società private, ditte specializzate o operatori professionali, cacciatori, proprietari di fondi, veterinari.
E infine la commercializzazione su vasta scala della carne degli animali selvatici, naturalmente per smaltire il “prodotto” della mattanza.
Conclusioni
Possiamo affermare, senza paura di essere smentiti, che è stata dichiarata guerra alla fauna selvatica e più in generale alla natura, in barba a tutti i meeting e i buoni propositi, solo dichiarati, di tutela dell’ambiente e di facilitazione della transizione ecologica.
Tornando all’episodio dell’orsa Amarena per il quale tutta l’Italia si è indignata, sui social e a parole, compreso il presidente della Regione Abruzzo Marsilio, appartenente al partito Fratelli d’Italia che ha partorito questo obbrobrio. Ma la triste realtà è un’altra: nei fatti, solo in pochi si indignano di fronte ad un Piano di questo tipo che sdogana la crudeltà, l’indifferenza e la totale mancanza di volontà di tutela nei confronti degli animali e della natura.