impero

In passato mi sono occupato della piccola glaciazione occorsa tra il 1330 e il 1880 e delle conseguenze che ne derivarono. Gli esperti definiscono quel periodo climatico un Bond 0, dal nome dello scienziato Gerard C. Bond che pubblicò a fine anni Novanta un interessante studio riferito a tale schema, individuando almeno altri otto periodi simili andando a ritroso nel tempo. Si tratta, val la pena ricordarlo, di periodi ciclici con intervalli di circa 1300/1500 anni caratterizzati da un brusco raffreddamento delle temperature, presumibilmente dovuto all’attività solare.

Ebbene il Bond 1, cioè quello precedente l’ultimo periodo ciclico preso in considerazione volta scorsa, sembrerebbe aver avuto storicamente una vittima illustre: l’impero romano d’Occidente. Tutti sappiamo da reminiscenze scolastiche che l’ultimo imperatore d’Occidente, il giovanissimo Romolo Augustolo, fu deposto nel 476 d.C. a seguito di uno stillicidio di invasioni barbariche che avevano ripetutamente messo a ferro e fuoco la penisola italiana e la stessa città di Roma, ma non tutti sanno che quegli eventi, la cui spiegazione è stata indagata per secoli, sottendono a fenomeni climatici di una certa portata che potrebbero aver dato, per così dire, una spallata decisiva al già traballante impero secolare.

Un lento cambiamento

Bisogna allora cominciare con il dire che il periodo di massimo splendore e poi di massima espansione di Roma coincise con il cosiddetto optimum climatico romano o periodo caldo romano, ossia un periodo di straordinaria stabilità climatica, caratterizzato da stagioni miti e riproducibili, che si fa coincidere con l’intervallo temporale compreso tra il 250 a.C. e il 400 d.C. Poi improvvisamente la situazione cambiò.

Inizialmente, tra il 350 e il 450, piovve molto, circa il doppio della media. Successivamente tra il 450 e il 600, il freddo si fece più intenso e arrivò la siccità. Le temperature estive in Europa scesero di circa tre gradi. Di questo oggi si ha certezza grazie ai minicarotaggi effettuati su alberi risalenti a quell’epoca e all’esame dei relativi anelli annuali presenti nei tronchi. Le conseguenze furono devastanti in termini di carestie e povertà di raccolti, ma si concretizzarono anche in violentissime epidemie, di cui si era già avuto un assaggio con la cosiddetta peste antonina collocata negli anni 165/180 d.C. e che decimarono la popolazione dell’impero.

Allo stesso tempo questo contesto di grande sofferenza e penuria di cibo mise in moto un effetto domino che finì per portare i barbari alle porte di Roma. Gli unni lasciarono le pianure dell’Asia centrale e comparvero nel Mar Nero, dove assoggettarono gli ostrogoti (goti orientali). A loro volta i visigoti (goti occidentali), non accettando il dominio degli unni, varcarono il Danubio stabilendosi in territorio romano. Questo innescò una inevitabile conflittualità che si sarebbe trascinata nel tempo culminando nella battaglia di Adrianopoli del 378 d.C, la più cocente sconfitta romana dai tempi di Annibale, quasi 600 anni prima, con perdite devastanti in termini di uomini. Ciò spingerà altre popolazioni a forzare il limes portando l’attacco al cuore dell’impero ed alla città eterna, che finirà per essere saccheggiata dagli stessi visigoti, questa volta guidati da Alarico nel 410 d.C.

In pochi secoli Roma passerà da un milione di abitanti a poco più che ventimila. Allo stesso modo le terre che affacciano sul Mediterraneo passeranno da una popolazione di 75 milioni di individui a poco più della metà. È una costante, lo abbiamo imparato, la prima drammatica conseguenza di eventi climatici estremi è la migrazione di disperati senza via d’uscita e l’aspra conflittualità che ne deriva.

Il tentativo di riconquista

Ma il colpo assestato dal clima in quei decenni avrà un’appendice, anch’essa destinata a cambiare il possibile corso della storia. Infatti con la salita al potere ad Oriente nel 527 d.C di Giustiniano I, verrà messo in atto un ultimo tentativo di ricostituire l’impero romano portando indietro le lancette della storia. Le truppe bizantine, guidate da Belisario, sconfissero i vandali e riconquistarono il Nord Africa, storicamente il granaio di Roma, puntando successivamente con grande slancio all’Italia. Ma proprio sul più bello successe qualcosa di mai visto prima che ci racconta nel 536 d.C. direttamente lo storico bizantino Procopio di Cesarea: “Nel corso di quest’anno si è verificato un fenomeno terrificante. Il sole diffondeva la sua luce senza forza. Si sarebbe detto che era in corso un’eclissi, poiché i raggi che il sole emetteva non erano limpidi”. Le analisi dei carotaggi, in questo caso dei depositi dei ghiacciai di questo periodo, hanno evidenziato grandi quantità di solfato in corrispondenza del 536, 540 e 547 d.C. e la presenza di zolfo può significare una sola cosa: eruzioni vulcaniche di vasta portata, in grado di oscurare a lungo il cielo. Uno dei principali indiziati è la caldera di Rabaul, in Papua Nuova Guinea, che potrebbe aver generato un evento addirittura più impattante dell’eruzione di Tambora e del conseguente “anno senza estate” del 1816. Altri studiosi propendono invece per eventi vulcanici ascrivibili alla più vicina Islanda.

In ogni caso una conseguenza indiretta sarà il rallentamento e poi la fine del disegno militare di riconquista della penisola elaborato a Costantinopoli. L’occupazione bizantina ne sarà indebolita, rivelandosi effimera e prestando ben presto il fianco al successivo arrivo dei longobardi. L’impero romano d’Occidente era finito per sempre. Questa vicenda, come altre, ci racconta che il clima è sempre il grande assente. Lo è quando si parla di sviluppo e di prospettive future, lo è quando si racconta la storia che fu.

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