oceani

L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha adottato il primo trattato internazionale per la protezione dell’alto mare, ossia delle acque che non ricadono nelle giurisdizioni nazionali e che costituiscono oltre il 60% degli oceani del mondo. L’obiettivo è tutelare l’enorme biodiversità marina che, ospitata nelle acque internazionali, è rimasta finora esclusa da ogni forma di protezione.

L’approvazione finale dell’accordo, raggiunto lo scorso marzo, da parte dell’Assemblea Generale dell’Onu è un passaggio storico che arriva dopo quasi due decenni di lunghi negoziati. Il trattato permetterà di avere nuovi strumenti giuridici utili a estendere le aree di protezione ambientale alle acque internazionali che, ricordiamolo, rappresentano oltre i due terzi degli oceani del mondo. È noto che gli ecosistemi marini sono minacciati non solo dalle alterazioni conseguenti al cambiamento climatico, ma anche dalla pesca insostenibile, dallo sfruttamento eccessivo dei fondali marini e dallo sversamento in mare di prodotti chimici, plastica e rifiuti umani. Il trattato, composto da settantacinque articoli, garantisce all’alto mare una maggiore protezione dalle attuali tendenze distruttive e punta ad assumere la protezione degli oceani per conto delle generazioni presenti e future, in piena coerenza con quanto scritto nella Convenzione sul diritto del mare. Il testo, infatti, riconosce legalmente l’integrità degli ecosistemi oceanici e il valore intrinseco della diversità biologica marina.

Oceani più puliti e gestione sostenibile degli stock ittici

Nel 2021 sono state sversate in mare più di diciassette milioni di tonnellate di plastica che rappresentano l’85% dei rifiuti marini e che secondo le proiezioni dovrebbero raddoppiare o triplicare ogni anno entro il 2040. Nel 2050, stima l’Onu, in mare potrebbe esserci più plastica che pesce. Il trattato include disposizioni fondate sul principio “chi inquina paga” nonché un meccanismo per le controversie. In base al testo, le parti devono valutare anche gli impatti ambientali di qualsiasi attività pianificata al di fuori delle loro giurisdizioni. Inoltre, con questo accordo si dovrebbe incentivare l’uso sostenibile delle risorse marine, dal momento che più di un terzo degli stock ittici, secondo le Nazioni Unite, sono sfruttati eccessivamente. Un altro elemento da ricordare è il riconoscimento dei diritti e del valore delle conoscenze tradizionali delle popolazioni indigene e delle comunità locali. L’Onu, in questo modo, punta alla creazione di strumenti di gestione territoriale per conservare e gestire in modo sostenibile habitat e specie vitali in alto mare e nei fondali marini internazionali. Il testo, inoltre, riconosce anche le circostanze speciali che devono affrontare le piccole isole e le nazioni in via di sviluppo senza sbocco sul mare.

Un accordo utile per raggiungere l’obiettivo 30×30

Tra le novità più importanti si segnala la creazione di un nuovo organismo internazionale, incaricato di supervisionare le azioni dei governi e garantire la conservazione degli ecosistemi oceanici con la creazione, anche in acque internazionali, di una rete di santuari marini, liberi da attività umane distruttive. Solo così si potrà raggiungere l’obiettivo del 30×30, concordato dai governi nell’ambito della Convenzione sulla Biodiversità alla fine del 2022, ossia proteggere almeno il 30% degli oceani entro il 2030.

L’approvazione del trattato, avvenuta lo scorso diciannove giugno, non basta. Servirà ora la ratifica di almeno sessanta Stati per entrare in vigore e diventare uno strumento giuridicamente vincolante per una reale e concreta protezione degli oceani e della vita marina.

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