guerra

Un paio di settimane fa ho partecipato ad uno Youth Exchange in Marocco. Eravamo ragazzi tra i 18 ed i 27 anni, provenienti da otto paesi diversi, tra Nord Africa ed Europa. Il tema principale era la crisi climatica.

Ve lo racconto perché è stata un’esperienza interessante, ma soprattutto perché è riuscita a scuotermi: dopo quattro anni di analisi del problema dai più disparati e raccontati punti di vista, sono rimasta sconvolta di nuovo, e non mi accadeva da un po’, purtroppo.

Lo ha fatto tramite l’educazione non formale, ovvero l’idea di imparare “facendo” e giocando.

È stato giocando infatti, che mi sono accorta per la prima volta di quanto consuma ed emette una guerra.

Penso che gli ultimi mesi, e prima gli ultimi anni, ci abbiano abituati a parlare di guerre, proiettili, rifugiati, vittime. Ci siamo talmente assuefatti all’idea di guerra, che non siamo quasi più capaci di inorridire davanti alle sue conseguenze.

Avevamo una ventina di carte, studiate sulla base del libro “How bad are bananas”, pubblicato nel 2010. Ognuna di queste, aveva una figura sopra: una banana, una ferrovia, l’uso di un telefono per un’ora al giorno per un anno, la world cup, un incendio, il volo di uno space shuttle, una guerra. Dovevamo dare un ordine a queste carte provando a stimare, dalla prima all’ultima, quanta CO2 emettessero.

Pensate di avere idea di quali siano i costi ambientali di una guerra? Provate ad indovinare.

Le emissioni di una guerra

Sono tra le 250 ed i 600 milioni le tonnellate di CO2 che emette una guerra, ed è una stima al ribasso: perché i costi ambientali o anche soltanto le emissioni dovute alle attività militari, vengono comunicate dagli stati in gran parte su base volontaria.

È il caso ad esempio delle emissioni delle azioni militari internazionali (o multilaterali, come quelle della Nato), che non vengono conteggiate in nessun totale nazionale.

Dopo alcune forti pressioni degli USA, nel 2015 l’Accordo di Parigi ha reso volontaria la rendicontazione delle emissioni militari, escludendole dal precedente Protocollo di Kyoto (1997, il primo accordo internazionale che conteneva gli impegni dei paesi industrializzati a ridurre le emissioni di alcuni gas ad effetto serra), che le prevedeva.

Insomma, giusto per dire che nessuno sa esattamente quanto gas serra emettano le forze armate mondiali, ma le stime variano tra l’1% e il 5% delle emissioni climalteranti globali.

L’Italia

Dei numeri che fanno impressione, ma da cui almeno io pensavo di essere allegramente distante, come italiana. In fondo è perché a me risulta difficile pensare all’Italia come ad una potenza militare.

Potenze militari nel mio immaginario erano USA, Israele, Cina, Russia, Corea, e tutta una serie di stati con cui l’Italia mi pareva avesse ben poco a che fare.

Chiaramente mi sbagliavo, perché stando al “2023 Military Strength Ranking” quello italiano è uno degli eserciti meglio equipaggiati al mondo: e per “uno degli”, intendo il decimo.

Tra l’altro, siamo anche uno dei paesi con il più significativo gap di segnalazione riguardo le emissioni del settore militare, e non posso fare a meno di pensare che sia per quel famoso detto, “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”.

Finché non riusciremo a mettere un punto sulle reali emissioni militari (globali e nazionali), non riusciremo ad avere un’idea veritiera rispetto a dove ci stiano conducendo: e questo è un problema, perché se non guardiamo la strada, rischiamo di cadere in un burrone.

I barbecue

Ogni tanto, soprattutto quando scrivo di ambiente, mi accorgo quanto sia complicato fare i conti con la realtà, e davanti a quante incongruenze ci troviamo ogni giorno.

Insomma, ma che senso può avere smettere di fare i barbecue, se poi i nostri stati continuano a prepararsi ad una guerra che sembra tanto immaginaria quanto imminente? Se non ci comunicano quanto emettono i nostri arsenali per lo più inutilizzati, ma sempre pronti per la prossima “giusta causa”?

La risposta la so, è che agire nel piccolo serve per non perdere la speranza, a dare l’esempio, perché di modelli da seguire in questo momento abbiamo un gran bisogno: però è difficile, non è scontato, ed è una lotta interna continua.

Spero sinceramente sia abbastanza, e magari, che qualche Stato prima o poi ci guardi con attenzione.

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