La pandemia da Covid-19 ha fatto enormi danni facendoci scoprire che la coperta della sanità è sempre più corta. Ma ha anche cambiato radicalmente il concetto stesso di lavoro facendo riscoprire alle persone il valore del tempo, della felicità e l’importanza del tempo libero e del bilanciamento vita-lavoro.
Le grandi dimissioni
Le “grandi dimissioni” che hanno colpito prima gli USA e poi l’Europa, sono state una reazione “di pancia” dei lavoratori favorita da questa nuova consapevolezza e sono in costante crescita in Italia sia nel 2021 (1,3 milioni di dimissioni) che nel 2022, quando 1,6 milioni di lavoratori ha presentato le sue dimissioni. Non sempre spinti da motivi economici, ma anzi spesso soltanto per ottenere un miglior bilanciamento vita-lavoro o un lavoro di miglior qualità o ancora una prospettiva di riconoscimento e crescita di carriera.
Alcuni studi recenti dimostrano che molti si sono già pentiti di essersi dimessi (41%) e che solo ”l’11% dei lavoratori dice di stare bene mentre il 42% si è assentato almeno una volta dal lavoro nell’ultimo anno per motivi di malessere psicologico e relazionale. Le ragioni sono diverse: ansia ma anche problemi di natura sociale, come le relazioni interpersonali con capi, colleghi e collaboratori. A dichiararsi felici sono solo il 7% dei lavoratori.” Numeri che dimostrano che spesso la scelta è stata “di pancia”, istintiva, non ben ponderata.
Ma questo fenomeno ha comunque dimostrato da un lato quel che sapevamo già, ovvero che le condizioni materiali e psicofisiche dei lavoratori sono in regressione costante (un’inchiesta de Linkiesta dimostra che la nostra crescita di PIL deriva da una svalutazione salariale e non da un progresso tecnologico e sociale), dall’altro apre una nuova prospettiva: i lavoratori non hanno più paura di dimettersi per cercare qualcosa di meglio. I lavoratori danno più valore alla loro vita privata e al loro tempo libero.
Noi progressisti non possiamo perdere questa occasione e dobbiamo alimentare questa onda attraverso non solo strumenti giuridici e nuove regole, “forzando” il cambiamento, ma soprattutto creando le basi propedeutiche. La quarta rivoluzione industriale creerà le basi tecniche e tecnologiche, noi dobbiamo anche concentrarci sulle basi politiche per liberare finalmente il tempo dal lavoro.
Smart-working
Il 30 giugno 2023, in assenza di ulteriore proroga del governo, scade il diritto di lavorare in smart-working per i dipendenti fragili e per chi ha figli sotto i 14 anni di età nel settore privato, venendo meno l’emergenza pandemica che questo diritto aveva creato. Nel frattempo, per fortuna imprese e sindacati hanno avviato una serie di accordi aziendali atti a favorire l’uso del lavoro agile in modalità ibrida (2 o 3 giorni da remoto alternati alla presenza in ufficio) con priorità a genitori di figli under 12, lavoratori con disabilità o caregivers. Resta il fatto che esso è, come ci spiega Arturo Maresca sul Sole 24 ore, un diritto di precedenza e non un diritto al lavoro agile. Sembrerebbe che il Governo voglia andare in direzione ostinata e contraria avversando il lavoro agile, sul solco del (per fortuna) ex Ministro Brunetta.
I vantaggi del lavoro agile sono incontestabili: secondo l’Osservatorio Smart-working del Politecnico di Milano si possono misurare in termini di miglioramento della produttività (15/20% per lavoratore con un sistema “maturo”), riduzione dell’assenteismo e riduzione dei costi (dunque dei consumi e sprechi) per gli spazi fisici (2500€ all’anno per postazione di lavoro per le aziende). Considerando che i lavoratori che potrebbero lavoro agile sono circa il 22% (6 mln) ed essi potrebbero avere un miglior bilanciamento vita-lavoro, una riduzione dei costi (con 2 giorni di lavoro a distanza 600€ annui) e dei tempi (60 minuti ogni giornata di lavoro) di trasferimento, senza contare i vantaggi “ambientali” quali riduzione delle emissioni di Co2, riduzione del traffico e miglior utilizzo dei trasporti pubblici, non possiamo che promuovere questo metodo di lavoro e considerarlo colonna portante del cambiamento che vogliamo vedere nel mondo del lavoro.
Settimana corta
Che essa sia promossa riducendo i giorni di lavoro (es. 4ggx8ore) oppure le ore giornaliere (es. 5ggx6ore) poco cambia. Ci sono già a disposizione le condizioni tecniche, tecnologiche, sociali, organizzative per una sperimentazione su larga scala. Già varie sono state le sperimentazioni in Europa e anche in Italia molte aziende stanno iniziando a sperimentare questo sistema, come la Magister Group che ha ridotto da 40 a 32 ore la settimana lavorativa a parità di salario e ha ricevuto più di 1.500 curricula, o la spagnola Desigual che però prevede una riduzione del 6,5% dello stipendio, o ancora la FACE di Cesena o la TRIA di Cologno Monzese (da 40 a 36 con saalrio invariato).
I risultati della sperimentazione inglese su 2900 lavoratori e 61 aziende, ad ora il più grande studio sulla materia (che arriva alle stesse conclusioni dello studio islandese), dicono che “il 71 per cento dei lavoratori ha dichiarato che la settimana di quattro giorni risultava meno faticosa e il 39 per cento ha registrato livelli inferiori di stress al termine dei sei mesi sperimentali. Rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, inoltre, i dipendenti hanno effettuato il 65 per cento in meno di richieste di giorni di malattia. Dal punto di vista economico la maggior parte delle aziende ha sperimentato un incremento marginale medio dell’1,4 per cento nei ricavi mensili. Il 92 per cento dei datori di lavoro coinvolti ha sostenuto di voler proseguire nell’attribuzione di orari lavorativi ridotti”.
Tempo e lavoro
Insomma anche questa è una realtà che, per quanto il governo e i conservatori provino con tutte le forze a fermare, rappresenta il futuro. La legge sulla settimana lavorativa di 40h è del 1997 e recepiva ormai una prassi consolidata nella contrattazione collettiva. Siano dunque anche i sindacati ad avere il coraggio di spingere la riduzione della settimana lavorativa a 32 o 36 ore.
Queste due sfide, sommate al Reddito di Base di cui parlerò in un successivo articolo e su cui consiglio la lettura del libro “Reddito di Base, Liberare il XXI Secolo”, devono diventare la priorità dell’agenda sociale di Europa Verde e di tutto il mondo progressista. La Struttura è pronta, ora tocca alla sovrastruttura portare avanti la Rivoluzione, per dirla con Marx.