“Se ne non trovi mai niente che ti offende non vivi in un paese libero“. Già basterebbe questa frase di Luttazzi per chiudere la questione sulla libertà di satira. Ma ho promesso che avrei scritto un articolo, perciò eccoci qua. Molto spesso gli artisti satirici sono presi di mira da richieste (bipartisan, ma ultimamente più spesso dal mondo del centro sinistra) di censura.
Ultimo in ordine di tempo Natangelo per la sua vignetta sulla sostituzione etnica di Lollobrigida o su Schlein.
Cos’è la satira?
È l’arte di ridicolizzare, con intenti moralistici o polemici, i vizi, le abitudini, le concezioni o gli usi di una categoria di individui o di una singola persona. Nella satira la risata (che deve esserci) è un mezzo non il fine.
Quindi è chiaro che per sua natura la satira deve essere “cattiva”. Censurarla o chiedere che essa sia dolce e non offenda nessuno è chiedere di eliminarla e trasformarla in cabaret, sarebbe come chiedere ad un musicista di eliminare l’armonia. La satira non può avere limiti, confini. Ho chiesto spesso a chi propone dei limiti quali dovrebbero essere, proponevano sempre confini basati sulla propria sensibilità, come se essa dovesse per forza essere la sensibilità di tutti. “La satira deve avere dei limiti perché deve superarli continuamente” come dice Vauro.
Le reazioni
Il problema principale che si ha con la satira è che spesso pensiamo che la nostra reazione soggettiva sia oggettiva (quindi per tutti uguale) invece come dice Ricky Gervais “le persone dovrebbero smetterla di definire una battuta offensiva e iniziare a dire ‘io la trovo offensiva’, perché niente è intrinsecamente offensivo e si tratta solo di una questione emotiva personale, niente più“. Per esempio se una persona mi viene alle spalle e io non me ne accorgo appena mi parla farò uno sbalzo dicendo “c@zzo mi hai fatto venire un infarto”. Una battuta del tutto innocua ma che l’interlocutore potrebbe prendere male se egli avesse appena perso un parente di infarto. Questo può valere con ogni singola battuta. Cerchiamo di prenderci meno sul serio.
Sempre Gervais dice “Non c’è nulla su cui non si possa scherzare, il punto è come lo fai“. Questa è la differenza principale tra un bravo comico e un pessimo comico. Ma anche la differenza tra un comico e uno st**nzo.
Satira e politica
Il contesto e il ruolo fanno la differenza. Su questo vorrei portare l’esempio della battuta sulle persone affette da sindrome di Asperger. Se quella battuta l’avesse detta il Grillo comico, magari durante il suo spettacolo avrei difeso la sua libertà di satira. Ma Grillo la disse durante un evento politico del Partito di cui era garante e fondatore, partito tra l’altro che era al governo in quel momento. La battuta assume tutto un altro significato, è profondamente sbagliata. Perché la satira è teatro, è teoria, fantasia. La politica è realtà, è istituzione, è pratica.
Inoltre ricordiamoci che la vera inclusione e accettazione del diverso si ha solo quando della diversità (ormai assimilata) si riderà e su cui si scherzerà. Pensate a chi porta gli occhiali. Ormai non ci scandalizziamo per una battuta su questo tipo di handicap, perché è per noi così “normale” che non crea distanza. Ridere della diversità è la maggiore forma e il maggior sintomo di inclusione.
Perciò per concludere dovremmo tutti fare un passo di civiltà e iniziare ad accettare che la satira esiste e che la satira può far ridere, può far male, può offendere. Ma è una questione soggettiva, ognuno di noi la vive in maniera diversa. A qualcuno piace il punk a qualcuno il pop, a qualcuno il black humour a qualcuno il cabaret. Non è la satira il problema.
“Chi censura un autore satirico, censura le sue opinioni. Un tempo si chiamava fascismo” Daniele Luttazzi
Ottimo articolo, peccato per la presenza di qualche parolaccia che poteva essere evitata. A qualcuno non piace il turpiloquio.