Quando si parla di emergenza ambientale si fa spesso riferimento all’impatto inquinante dei processi produttivi sul territorio, alle emissioni, così come alla deforestazione selvaggia con la conseguente riduzione di biodiversità. Si guarda all’agricoltura, ai processi minerari ed industriali, più in generale al nostro modo di vivere, sfrenatamente incline a consumi fini a se stessi. Tuttavia c’è una voce che non compare quasi mai, forse perché è foriera di disastri ancora più grandi: la guerra.
I conflitti tra umani nel mondo hanno infatti come conseguenza anche una significativa impronta ambientale, che passa quasi silente ma che ha proporzioni bibliche. Senza scomodare i terribili disastri generati in passato dall’uso di ordigni nucleari per uso militare e dalla loro sperimentazione, né tantomeno i danni prodotti da guerre batteriologiche o da agenti chimici di varia natura, basta guardare dietro casa, al conflitto russo ucraino, per rendersi subito conto di quanto sia caro il conto da pagare.
I dati
Secondo un calcolo del Conflict and Environment Observatory Unit, il comparto militare è responsabile del 5,5% delle emissioni di gas serra e guerre su larga scala contribuiscono in maniera decisiva a questo dato. L’uso massiccio di mezzi militari sul campo è un primo fattore di inquinamento non di poco conto. Un singolo carro armato T-80 emette più di 10 chilogrammi di anidride carbonica per chilometro, una quantità nettamente superiore al meno verde dei suv che mediamente ne produce 160 grammi per chilometro.
Anche gli incendi causati dai bombardamenti, tanto nelle aree di campagna quanto nelle aree urbane, hanno un ruolo chiave nel picco delle emissioni nocive, senza contare il gigantesco costo ambientale della ricostruzione che può essere evidentemente calcolato solo quando una guerra finisce. Nel caso ucraino si stima che la guerra con la Russia abbia già determinato emissioni per 33 milioni di tonnellate, a cui vanno aggiunte altre 23 milioni di tonnellate derivanti dagli incendi, mentre la ricostruzione di edifici ed infrastrutture distrutte si stima dovrebbe portare non meno di 50 milioni di tonnellate di emissioni.
L’ecocidio ucraino
Ma il problema evidentemente non sono solo le emissioni, poichè in Ucraina è in atto un vero e proprio ecocidio. Si tratta infatti di un territorio che, a dispetto della sua relativamente piccola estensione rispetto al continente europeo, ne rappresenta da solo il 35% della biodiversità ospitando quasi settantamila specie animali e vegetali, di cui quasi 1.400 protette. Intere aree verdi sono state divorate dagli incendi prodotti dai bombardamenti, mentre i boschi sono stati messi in ginocchio dall’avanzata dei mezzi corazzati e da un crescente ricorso alla legna per la combustione domestica, conseguenza di black out elettrici continui.
La gran parte di questi territori sono ormai costellati da crateri determinati dalle esplosioni, la qual cosa ha prodotto a sua volta la contaminazione dei suoli per opera dei metalli pesanti contenuti nelle munizioni. Le specie di piante e funghi sotto minaccia a causa degli eventi bellici sono 750, quelle animali almeno 600. Anche nei mari le cose non vanno diversamente, basti pensare ai delfini. Prima del conflitto si contava una media di tre delfini spiaggiati all’anno sui litorali protetti del Mar Nero, mentre oggi se ne contano già 45 nei soli quattro chilometri di spiaggia ancora utilizzabile. La stima è di circa cinquantamila cetacei morti, a causa del rumore delle navi militari e dei bombardamenti che ne disorientano i sensi portandoli in tempi variabili al decesso.
Agli uccelli non va meglio. Nel Kashmir indiano mancano all’appello migliaia di uccelli migratori provenienti dall’Europa nell’ambito delle migrazioni stagionali. Secondo gli ornitologi la guerra in Ucraina ne sarebbe la causa, sia per la morte durante quel tratto di volo che per un successivo e probabile cambiamento di rotta.
Allevamento e agricoltura
La più grande ecatombe riguarda però probabilmente gli insetti e gli animali da allevamento: quattrocentomila alveari andati perduti, 95.000 tra pecore e capre morte, 212.000 bovini deceduti, così come 507.000 maiali e 12.000 polli. Tutto questo contestualmente alla distruzione del territorio connesso, visto che molti terreni sono ormai inutilizzabili a causa delle mine e delle munizioni inesplose, oppure per la caduta al suolo di sostanze chimiche tossiche come il fosforo bianco.
E l’agricoltura ucraina, un tempo quarto produttore mondiale di grano e già vittima del disastro di Chernobyl, impiegherà almeno cento anni per riprendersi. Le centinaia di migliaia di persone morte ad oggi in questo conflitto danno la misura della catastrofe umanitaria, il disastro ambientale descritto di quello ecologico, tutte e due insieme della stupidità e della follia della guerra in senso lato.
Mi ha aperto gli occhi su un disastro ancora maggiore di quello che immaginavo.