Le microplastiche entrano e si trasferiscono all’interno della catena alimentare, pertanto non sono materiale inerte ed il rilascio nell’ambiente di queste particelle microscopiche derivate dalle attività antropiche ha effetti diretti anche sull’integrità del patrimonio genetico con conseguenze a lungo termine su popolazioni, comunità ed interi ecosistemi; questo è quanto riscontrato da uno studio (Microplastic Toxicity and Trophic Transfer in Freshwater) pubblicato sulla rivista internazionale WATER, condotto da ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile ) e CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche), che ha descritto una parte del percorso delle microplastiche “dall’acqua al piatto”.
I risultati
Nello studio, atto a verificare gli effetti delle microparticelle di polietilene sugli organismi d’acqua dolce, sono stati utilizzati l’Echinogammarus veneris, un crostaceo d’acqua dolce simile a un gamberetto che rappresenta uno degli alimenti principali di pesci come le trote, e la Spirodela polyrhiza, una piccola pianta acquatica galleggiante; le piantine sono state immerse per 24 ore in acqua contaminata da microplastiche di circa 50 micrometri e poi trasferite nella vasca dei gamberetti.
I risultati hanno evidenziato che le microplastiche si sono depositate sulle radici delle piante ed i gamberetti hanno ingerito in media 8 particelle di polietilene l’uno restituendo le microparticelle nell’ambiente sotto forma di escrementi; Valentina Iannilli, ricercatrice ENEA del Laboratorio Biodiversità e servizi ecosistemici, sottolinea come “questo studio mostra chiaramente, all’interno di un sistema controllato di laboratorio, i meccanismi attraverso i quali le microplastiche entrano e si trasferiscono all’interno della catena alimentare”.
Non solo polietilene
Uno studio pubblicato su Environmental Science & Technology Letters ha rivelato il modo in cui gli alimenti vengono contaminati da un composto, il 6:2 FTOH, riconosciuto come tossico e ormai non più utilizzato direttamente nei processi industriali per la produzione di imballaggi e involucri destinati ad uso alimentare (come fogli di carta, piatti, tazze, sacchetti, inclusi alcuni tipi di questi prodotti commercializzati come compostabili e green).
Prendendo in esame 42 frammenti di imballaggi provenienti da catene di fast food, i ricercatori impegnati nell’esperimento hanno verificato, in circa la metà dei campioni esaminati, la presenza di Pfas fluorotelomeri che rilasciano una parte di 6:2 FTOH; la seconda fase dello studio, con il monitoraggio di 8 frammenti chiusi in luoghi bui e senza contatti esterni per 2 anni, ha dimostrato che i livelli di PAFS sono scesi di circa l’85% rispetto ai valori iniziali indicando che tali sostanze fuoriescono dagli imballaggi e quindi possono finire negli alimenti contenuti.
Conclusioni
I livelli di PFAS sono tenuti costantemente sotto controllo ed i limiti sempre più stringenti; essendo i Pfas fluorotelomeri indicati come possibili candidati per la creazione di prodotti compostabili e green, lo studio evidenzia la criticità di tale possibilità.
L’attenzione alla salute è in costante aumento e lo dimostrano le ricerche e gli esperimenti sopra citati ma risulta necessario continuare su tale strada per prevenire le problematiche evidenziate da questi ultimi studi.
[…] Puoi leggere il mio articolo anche su Ecologica.Online, pubblicato il 26 aprile 2023 clicca qui. […]