Tracce pre-ayatollah
Non so quanto il pop persiano vi sia familiare. Io amo molto una canzone sentimentale di Googosh dal titolo Makhloogh. E ne ho viste di partecipazioni dell’interprete persiana alla Tv negli ultimi anni Settanta: tende brillanti, minigonne, abiti a spalle scoperte come all’epoca potevano vestire le nostre Stefania Rotolo o Raffaella Carrà. Sono tracce. Tracce dell’Iran pre-Ayatollah.
Ho pensato allo stile di Googosh quando abbiamo intervistato, per l’ultima puntata di Greencast, l’attivista (ma sarebbe meglio dire artivista) Sanam Naderi, attrice e drammaturga. Specie quando ci raccontava che nel 1979 sua nonna, in minigonna, andò a votare per la Repubblica Islamica e la fine dello Shah.
Poi le cose precipitarono.
Rivoluzione di bellezza
Volevamo, assieme a Sanam, capire di più su quel che accade oggi in Iran dopo la morte di Mahsa Amini e il sollevamento popolare che ne è seguito. Sanam la chiama “rivoluzione di bellezza”. Khomeini, dopo quelle famose elezioni, instaurò un regime, uccidendo per prima cosa gli studenti che avevano permesso la rivoluzione islamica, in cerca di indipendenza, libertà e repubblica. Continuò con la repressione degli oppositori durante la guerra contro l’Iraq.
Mahsa Amini
Sono passati quarantaquattro anni. Quarantaquattro anni in cui molta parte delle famiglie iraniane ha condotto una doppia vita: dentro casa, fuori casa. E dentro casa si resisteva. Gli ideali del ’79 in qualche modo venivano passati.
E veniamo al settembre 2022. In un’escalation di rafforzamento della polizia morale a seguito del governo Raisi – destrorso e molto religioso – in carica dal 2021, Mahsa Amini – povera ragazza – ha fatto da detonatore a una situazione già tesa. Accusata di vestire il velo, lo hjiab, in modo troppo allentato è stata arrestata e pestata. È morta tre giorni dopo. Aveva ventidue anni.
A questo punto è accaduto qualcosa. La resistenza iraniana, agli occhi occidentali, è diventata visibile, palese. Quella richiesta di libertà e repubblica soffocata da Khomeini nel 1979 è scoppiata di nuovo nelle giovani generazioni. Per Sanam, il 2022-23 è il proseguimento del 1979.
La generazione che dice “Basta”
In tutto il mondo, Italia inclusa, assistiamo a una nuova generazione che non tollera più quello che i grandi hanno accettato per decenni. Da noi, questo si declina – ad esempio – in un rifiuto dello sfruttamento sul lavoro o in un rifiuto di un lavoro che porti a sacrificare la vita. In Iran la generazione che si è risvegliata è spesso nata negli ultimi sedici, diciassette anni del regime. La davano per persa, pensavano che al regime sarebbe assomigliata. Invece.
Invece il popolo ha detto basta e, in questo “agire assieme”, in prima fila troviamo donne e giovani che lottano e si sacrificano perché qualcosa cambi radicalmente. Sanam – e anche noi – trova tutto ciò molto commovente.
Dalla mancanza di fiducia nell’essere popolo nasce solo immobilismo
Vedete, l’italiano medio spesso conosce sommariamente l’estero e quindi crede di rappresentare il peggio del peggio – ma dalla mancanza di fiducia nell’essere popolo non nascono le rivolte. Al massimo nascono gli scatti di rabbia poco costruttivi o la diffidenza reciproca: tutti mali da estirpare, in Italia, se vogliamo un futuro migliore. Tuttavia in una repubblica – anche solo pensata – il popolo è sovrano e assieme può cambiare le strutture decise da una rappresentanza stantia e parziale (le ultime elezioni in Iran hanno avuto un’affluenza bassissima, del 48,48%).
È una delle ragioni per cui la rivoluzione in atto in Iran non è lontana e ci riguarda. Non dimentichiamo i rapporti che l’Occidente ha avuto con gli ayatollah in virtù del petrolio – l’Iran era nel 2021 il secondo paese del mondo quanto a risorse petrolifere. Eccola di nuovo, la struttura economica, “la dottrina zombie che sembra non morire mai” (Monbiot), che sta mettendo in pericolo il futuro e in nome del quale, in passato, si sono scelte le guerre da fare e quelle da non fare, i rapporti da tenere e quelli da boicottare.
La rivoluzione nel mondo
L’altra ragione è l’insegnamento che donne e giovani stanno dando all’Iran e al mondo: ad avere paura non si migliora. Se non si pensa a un bene comune niente si smuove. Il regime iraniano contrattacca violentemente, ma nella violenza c’è il timore di una perdita di quel potere e di quel controllo che il popolo più non tollera. Ecco perché colpiscono le scuole, perché avvelenano le giovani nelle scuole. E le donne che studiano, che non si tirano indietro quando si tratta di far parte della società civile, in Iran, sono tante. E il “basta” si sparge dalla Georgia all’Afghanistan a Israele al Kurdistan. Basta.
Questa è una rivolta femminile. Femminile e degli uomini che non vogliono somigliare ai loro padri.
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