medio oriente

Il surriscaldamento globale uccide e continuerà a farlo con cifre sempre più impietose. È questo quanto emerge dall’ultimo rapporto della London School of Hygiene and Tropical Medicine appena pubblicato sulla rivista specialistica The Lancet Planetary Health. Lo studio, che prende in considerazione 19 paesi del Medio Oriente, avvisa che entro la fine del secolo ben 123 persone ogni 100.000 abitanti perderanno la vita ogni anno a causa del caldo asfissiante.

Una stima già di per sé spaventosa, ma che in alcune zone rischia di diventare estremamente più grave. In Iran, ad esempio, sullo stesso campione il tasso raggiunge addirittura la quota record di 423 decessi all’anno.

Gli obiettivi mancati

Queste, dunque, le drammatiche previsioni degli esperti se non si dovesse riuscire a contenere la temperatura del pianeta entro un aumento massimo di 2° gradi centigradi. Nel caso in cui questo dovesse accadere invece, il report prevede allora una riduzione delle morti di circa l’80%.

Un obiettivo – quello di tenere la temperatura mondiale massimo entro i 2°, preferibilmente l’1,5° C – che la comunità internazionale si era in realtà già proposta nel 2015 quando, con l’Accordo di Parigi, i 193 stati membri delle Nazioni Unite, con l’aggiunta di Unione Europea, Isole Cook e Niue, stipularono il trattato internazionale sulla riduzione delle emissioni di gas serra.

Oggi però, mentre la delusione per gli scarsi risultati ottenuti alla COP27 di Sharm el-Sheikh è forte tanto quanto il rischio che anche la prossima, in programma a Dubai, possa risolversi in un nulla di fatto, le lancette del Climate Clock di New York ci ricordano che il tempo continua a scorrere inesorabilmente e noi – in quanto comunità globale – abbiamo fatto al momento davvero poco per opporci al progressivo aumento della temperatura. Ed è inutile ricordare che, nel caso in cui quel conto alla rovescia dovesse effettivamente azzerarsi, le conseguenze per gli esseri umani sarebbero a dir poco catastrofiche.

Dobbiamo agire subito

È necessario quindi agire, ma bisogna farlo immediatamente. E non solo per invertire il trend di crescita della temperatura media, ma anche per far fronte ai danni che già adesso intaccano la salute delle persone e della società. A questo fine, l’autore principale dello studio Shakoor Hajat, si augura che ben presto i paesi di tutto il mondo possano munirsi di appositi piani nazionali di protezione contro il caldo torrido, che si attivino sulla base di sistemi di allerta ideati ad hoc. Soprattutto, Hajat insiste affinché le regioni del Medio Oriente e del Nord Africa orientino già da ora i propri sistemi sanitari nazionali nel far fronte alle drammatiche conseguenze che il cambiamento climatico sta già avendo in questa parte del mondo.

Insomma, la pandemia dovrebbe aver insegnato che certe sfide possono essere combattute solo a partire da una prospettiva globale, che tenga in conto la prevenzione e una risposta comune. A imporcelo sono ancora una volta le previsioni della comunità scientifica, che ci ricordano mestamente che in gioco non ci sono solo numeri e dinamiche di mercato, ma vere e proprie vite umane.

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