Il trattato della pittura o libro della pittura è un manoscritto di origine ignota, basato su annotazioni di Leonardo da Vinci e risalente al XVI secolo. Si tratta sostanzialmente di un codice che ricostruisce a posteriori annotazioni e teorie di Leonardo su aspetti teorici e pratici della pittura, rielaborando alcune delle annotazioni del genio di Vinci e affidate da quest’ultimo in punto di morte al fedele discepolo Francesco Melzi.
Potrebbe essere proprio costui l’autore di questa rielaborazione, ma non ne siamo certi. In ogni caso il testo così concepito, costituito da 331 fogli arrivò nel 1626 nella biblioteca personale di Francesco Maria II Della Rovere, ultimo duca di Urbino, per poi passare in eredità al Papato e finire prima nella Biblioteca alessandrina e poi in quella vaticana, dove si trova tuttora.
Al termine del manoscritto è presente l’elenco di 18 codici di Leonardo utilizzati per la stesura del testo e dei quali solo una parte è giunta fino a noi. Compaiono nell’elenco i codici oggi contrassegnati come A, C, E, G, L, M, Trivulziano 2162 e Madrid II, così come un foglio della raccolta Windsor, mentre manca nell’elenco il Codice Atlantico, la più vasta raccolta di fogli autografi di Leonardo (1.119 fogli) custoditi ed esposti a rotazione nella storica sala di lettura della Biblioteca Ambrosiana di Milano.
Un manuale di botanica
Il sesto capitolo dell’opera è intitolato “Degli alberi e verdure” ed è incentrato, coerentemente con il titolo dell’opera, su argomenti tecnici inerenti le modalità tecniche di raffigurazione delle piante nei dipinti, in relazione alla luce e alla prospettiva. Tuttavia non mancano spunti e osservazioni più strettamente botanici, cosa affatto sorprendente considerato l’acuto spirito di osservazione di Leonardo che lo portò sovente ad anticipare concetti che sarebbero stati formulati in maniera compiuta solo più tardi.
Ad esempio leggendo il capitolo in questione si intuisce come egli avesse già riconosciuto i due principali tipi di infiorescenza, definita o indefinita, quando cioè l’allungamento del rachide si arresta ben presto con l’emissione di un fiore oppure procede indefinitamente, almeno per un certo periodo di tempo, mentre ai suoi lati compaiono sempre nuovi fiori. Allo stesso modo si parla di foglie semplici e composte, così come si anticipano nozioni di fillotassi, ossia le varie modalità con le quali le foglie possono distribuirsi sui rami, fino a concetti alla base della moderna dendrocronologia, ossia lo studio degli anelli di crescita degli alberi in relazione all’ambiente in cui si trovano.
Un vero e proprio manuale di Botanica insomma, che sottolinea come la rappresentazione pittorica della natura da parte di questi artisti di epoca rinascimentale non fosse affatto casuale, ma che partisse sempre dall’osservazione e dallo studio del reale. Un concetto che sarà ripreso e stressato da altri pittori in seguito, basti pensare alle nature morte con fiori di Jan Brueghel dove centinaia di specie, anche rare, vengono rappresentate con perizia e dovizia di particolari.
Il primo ecologista della storia
L’attenzione ed il rispetto di Leonardo da Vinci per la “Natura”, sempre rigorosamente definita con questo termine, non sono una novità (Il primo ecologista della Storia). Traspare un sentimento di amore sincero per le piante, spesso protagoniste di aforismi e persino di favole. È il caso di varie specie di piante, quali alloro, giglio, fico, castagno, noce, mirto, pero, zucca, vite.
Egli aveva ben chiaro anche la delicatezza di certi equilibri naturali e mostrava senza riserbo tutta la sua preoccupazione sul ruolo giocato dalla nostra specie nell’alterazione di questi equilibri e nella capacità di sopravvivenza di quest’ultima. Il suo atteggiamento verso la natura era sostanzialmente un atteggiamento misto di ammirazione, deferenza, rispetto e timore: “Certo è par qui che la natura voglia spegnere la umana spezie, come cosa inutile al mondo e guastatrice di tutte le cose create”.