Questo articolo è uscito sul numero 2 di Settembre 2022 della versione cartacea di Ecologica. Ti ricordiamo che puoi riceverla a casa tua o sulla app abbonandoti qui.
La ricchezza e il benessere, la tenuta del tessuto sociale ed economico dipendono in parte decisiva e ovunque nel mondo dal lavoro femminile, sia in forma gratuita, sia retribuita. La sopravvivenza della specie è inscindibilmente legata ai destini e alle scelte delle donne. Per questo il primo gesto di dominio del patriarcato sulla “natura” è stato il controllo maschile sul corpo fecondo femminile, celebrato dalla filosofia delle origini, inscritto nell’ordine simbolico, politico, istituzionale, consacrato dal contratto sociale (e sessuale) della modernità.
Vandana Shiva, celebre ecofemminista e scienziata ambientalista, sostiene: “Se ci pensi, gli stessi processi di colonizzazione, ossia il progetto del patriarcato capitalista, colonizzano la natura, trasformano la terra da un bene comune a una proprietà privata, trasformano i semi da bene comune a proprietà intellettuale, trasformano le persone da esseri umani autonomi in utenti di algoritmi e macchine. L’appropriazione dei beni comuni è al centro della colonizzazione e la colonizzazione della natura è molto legata a quella della donna. Nello stesso modo in cui la Madre Terra è diventata sterile, la donna come creatura autonoma, produttiva, creativa, che sosteneva e sostiene attualmente l’economia e la società è diventata un corpo vuoto, un oggetto da sfruttare. Tutto il lavoro che facciamo, tutta la creatività e la conoscenza che abbiamo è stata trasformata in non-conoscenza, in non-lavoro, ma il processo stesso di colonizzazione della natura e delle donne ha minato le basi stesse della vita.”
Conflitto epocale
Resistenza e ribellione da parte delle donne nel corso dei secoli hanno portato all’irruzione novecentesca della libertà femminile nella storia, che ha sovvertito i fondamenti del patriarcato, innanzitutto sottraendo produzione e riproduzione della vita umana. Una rivoluzione che le donne hanno condotto casa per casa, negli spazi pubblici e in quelli più intimi, mettendo in discussione il rapporto tra i sessi, gli stereotipi di genere, le istituzioni sociali, economiche e politiche e il linguaggio stesso. Un conflitto epocale che ha trasformato e migliorato la civiltà, facendo tuttavia pagare prezzi altissimi a molte di noi, a causa delle resistenze e delle reazioni violente, a livello privato (violenze sessuali e femminicidi) e pubblico (sentenza Corte Suprema USA soppressiva libero accesso all’aborto, per fare un esempio). Siamo costrette (e costretti) a misurarci e combattere con i pericolosi colpi di coda di un patriarcato in crisi, che ancora non si arrende e cerca continuamente di ripristinare il proprio dominio.
Femminicidio
125 femminicidi in un anno, dal 1° agosto 2021 al 31 luglio 2022, una donna ogni tre giorni assassinata, il più delle volte, dal marito, ex marito o compagno, rappresentano una realtà sconvolgente, che va letta nel contesto più ampio e articolato dell’incapacità soggettiva di molti uomini di modificarsi e di accettare la soggettività autonoma e indipendente della donna. Soggetto, appunto, non oggetto a disposizione del “padrone” di turno. Va anche sottolineato che l’inviolabilità del corpo femminile non è stata inscritta nella nostra Costituzione, né questo principio è radicato nella cultura maschile. Come più volte sostenuto dalla filosofa Luisa Muraro, “la prepotenza maschile non è limitata da un imperativo dotato di efficacia simbolica paragonabile al rispetto della proprietà privata”.
Prendiamo in mano la Costituzione:
Art. 2: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali, ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Art. 3: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso…Il diritto di origine patriarcale prevede il soggetto neutro maschile (bianco, occidentale), l’individuo, e l’essere donna una caratteristica secondaria non costitutiva dell’essere soggetto di diritto.
Ma la libertà, la titolarità dei diritti costituzionalmente previsti e tutelati, ad una donna spettano a causa del suo essere donna non a prescindere. La libertà femminile non si identifica con quella maschile. L’uguaglianza non deve cancellare la differenza sessuale, né tutte le altre differenze, che anzi, devono essere valorizzate e riconosciute. Il cammino per rimediare alle conseguenze nefaste del disordine simbolico, culturale e sociale provocate dalla reductio ad unum è ancora lungo e per nulla semplice.
La prima volta che ho incontrato la parola femminicidio fu alla pagina 171, capitolo dodicesimo di un testo che andrebbe ripreso in mano: “Crimini contro le donne – Atti del Tribunale internazionale 4-8 marzo 1976, Bruxelles” (a cura di Diana E.H. Russel e Nicole Van de Ven, Sonzogno 1977). Duemila donne provenienti da quaranta paesi di tutto il mondo testimoniarono, denunciando e descrivendo i crimini subiti. Riunite in gruppi di lavoro, le femministe suddivisero per fattispecie e costruirono un mosaico delle differenti forme di violenza esercitate contro le donne.
La seconda parte contiene le proposte di azioni comuni e iniziative concrete all’interno di un quadro strategico generale. Fu una risposta radicale del femminismo all’Anno internazionale della Donna e alla Conferenza di Città del Messico, dove in nome dell’emancipazione si proponeva l’integrazione nella società maschile. Non si chiedeva un accomodamento, ma una trasformazione del mondo a misura di donne e di tutti i soggetti esclusi e/o emarginati e discriminati, che anche grazie al movimento femminista acquistarono forza e aprirono conflitti per affermare le proprie specifiche ragioni e pretese, a cominciare dalla comunità LGBTQI+.
Violenza negata
13 maggio 2022: presentazione in Senato della relazione della Commissione d’inchiesta sul femminicidio, presieduta dalla senatrice Valeria Valente, su “Separazioni e genitorialità tra responsabilità e diritti: la violenza negata”, che ha rivelato, alla luce dei 1.400 fascicoli esaminati dagli uffici giudiziari, le gravi criticità e inadeguatezze dei tribunali civili e dei tribunali per i minorenni, in particolare in rapporto all’ affidamento delle figlie e figli, nei casi di violenza. Elvira Reale, psicologa, consulente della Commissione, denuncia che nei procedimenti giudiziari, sconfessata la PAS (sindrome di alienazione parentale), le donne che si separano dal marito violento, sono accusate di essere “madri simbiotiche”. Alla prima udienza spesso capita che la causa della separazione, la violenza, scompaia e si imponga l’affido condiviso, che può rivelarsi, secondo la magistrata Monica Velletti, un inferno e provocare ulteriori violenze.
Contrasto alla violenza
La transizione in senso ecologico al suo controllo e potere la della nostra società ed economia passa anche attraverso il contrasto alla violenza degli uomini contro le donne, che non ha fortunatamente trovato tregua, semmai più determinazione, più competenze e sinergie al lavoro. Inoltre, va detto, sempre più uomini si confrontano tra loro e con le donne, prendendo in carico la questione che riguarda e chiama in causa, radicalmente e principalmente, la differenza maschile. Questo fa ben sperare!
Luana Zanella