politica

Qualche anno fa il compianto Piero Angela pubblicò un saggio nel quale, abbandonando momentaneamente la divulgazione scientifica, si interrogava su tematiche più sociali e in particolare sul significato e il ruolo svolto dalla politica.

Il libro si apriva con un esempio molto semplice, prendendo in considerazione due paesi come Svezia e Turchia, due paesi assai diversi con il primo avente un reddito pro capite circa tre volte più alto del secondo. È evidente che se un politico turco prospettasse prima delle elezioni dei salari svedesi, ma anche pensioni, assistenza, asili nido e ospedali di tipo svedese, difficilmente potrebbe mantenere le sue promesse.

Ma quanto ha inciso la politica perché tra i due paesi vi sia una distanza così evidente? Dietro ogni paese si nasconde una macchina invisibile, racchiusa nel cervello degli individui che lo compongono, e che proietta nella società il suo sapere e il suo saper fare. È la proiezione della nostra educazione, cultura, creatività, capacità imprenditoriale, organizzazione e dei nostri valori. Certe cose non si possono trasferire di colpo da un paese all’altro. Si possono trasferire i macchinari ma non i saperi, e sono questi ultimi a fare la differenza.

Ora la politica gioca un ruolo solo se riesce a far crescere questi saperi, con conseguente produzione di ricchezza e maggiore attrattività per gli investimenti. Questo è possibile stimolando e valorizzando tutte quelle attività utili in tal senso, vale a dire istruzione, ricerca, pubblica amministrazione, più in generale premiando il merito e l’eccellenza.

Il caso dell’Italia

Guardando all’Italia il quadro è desolante. Ancora oggi due terzi degli italiani non comprano e non leggono libri. La restante parte è fatta di lettori saltuari e solo 4 milioni di italiani sono lettori abituali, meno di uno su dodici.

Non c’è da sorprendersi quindi che la politica, spesso preoccupata solo di guadagnarsi il consenso per un’eventuale rielezione si muova in un’altra direzione. Ne segue una diffusa de-meritocrazia. Le carriere sono spesso facilitate da conoscenze personali, da connessioni familiari, da amicizie, da appartenenze politiche. I principali elementi che tolgono spazio al merito sono l’affiliazione (nepotismo e raccomandazione), gli automatismi, quando l’avanzamento nella carriera poggia solo sull’anzianità di servizio, la circolarità, quando c’è conflitto di interesse tra controllori e controllati. Un italiano su due dichiara di aver trovato lavoro grazie ad amicizie o raccomandazioni, uno su quattro dichiara di rivolgersi ad un politico per ottenere la soluzione di un suo problema.

È evidente quindi che la politica ha una gravissima responsabilità, perché la de-meritocrazia che impera da noi avvelena “l’ecosistema” nel quale viviamo rendendoci più vulnerabili, anche rispetto alla competizione internazionale. Le stesse carriere politiche all’interno di partiti o apparati premiano spesso l’affiliazione, l’appartenenza, la fedeltà, non il merito. I liberi pensatori sono visti come una minaccia per i clan del consenso, non come una necessaria coscienza critica. Vengono preferiti sistematicamente gli yes men, quelli che dicono sempre di sì.

Il vero ruolo della politica

L’errore è però quello di colpevolizzare tutti quelli che fanno politica. Ci sono invece tantissime persone che si dedicano con passione e spirito di servizio alla politica. Ad ogni livello esistono persone che si impegnano seriamente senza trarre vantaggi personali, cercando di dare il proprio contributo alla collettività.

Tuttavia i risultati non sono soddisfacenti e questo tipo di politica è una zavorra, non produce ricchezza per il paese, non crea le condizioni per uno sviluppo adatto alle sfide del mondo moderno, soprattutto riempie il paese di debiti. E allora, lungi dal mettere in discussione il ruolo fondamentale della politica, quest’ultima dovrebbe però soprattutto avere come si suol dire una visione, delineando gli scenari strategici futuri, facendo scelte di fondo, sostenendo crescita e ricchezza, ma anche una sua più equa distribuzione.

La politica dovrebbe limitarsi al ruolo di indirizzo e di guida, oltre che di presidio delle garanzie democratiche. Dovrebbe essere più agile nel suo apparato, meno articolata e senza professionisti del mestiere. Non dovrebbe mai sostituirsi all’economia, diventare ingerenze o peggio ancora tutt’uno.

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