crisi climatica

Ormai è risaputo che per affrontare in modo efficace la crisi climatica che inesorabilmente e frequentemente ci mostra le sue conseguenze critiche dovremo ripensare il modello di sviluppo economico e produttivo mondiale. Molti scienziati affermano che contenere il limite del riscaldamento del nostro pianeta entro 1,5° gradi Celsius rispetto all’epoca preindustriale sia opportuno e prudente in quanto eviterebbe di raggiungere alcuni punti critici, i cosiddetti tipping points, superati i quali la gestione del surriscaldamento globale diventerebbe impossibile e l’umanità diventerebbe rapidamente ostaggio di un clima impazzito.

Tuttavia, a fronte dei rischi citati, un nuovo studio pubblicato pochi giorni fa dai Ricercatori del gruppo CLICCS “Climate, Climatic Change and Society” dell’Università tedesca di Amburgo, afferma che, malgrado gli sforzi finora compiuti, la profonda decarbonizzazione utile a contrastare la crisi sta progredendo troppo lentamente per essere efficace. I tipping points si stanno avvicinando ed il Servizio Meteorologico inglese ci segnala che potremmo raggiungere gli 1,5°in più già nel 2024 e quindi il cambio di rotta diventa sempre più urgente.

La perdita del ghiaccio artico, lo scioglimento delle calotte glaciali, il permafrost in disgelo, l’indebolimento dell’Atlantic Meridional Overturning Circulation (AMOC) e la perdita della foresta amazzonica sono punti critici che potrebbero drasticamente e rapidamente cambiare le condizioni della vita sulla Terra e, continuando a procedere lentamente nella transizione ecologica, rischiamo di dover pagare in un prossimo futuro un prezzo economico e sociale enormemente maggiore di quello che potremmo mettere in atto ora accelerando il processo di decarbonizzazione.

La transizione

La transizione verso la decarbonizzazione è basata sulla transizione energetica. Per combattere il cambiamento climatico da qui al 2050 dovremmo quintuplicare l’energia pulita prodotta nel mondo ed abbandonare l’energia ottenuta con i combustibili fossili. Sembra una sfida impossibile ma è doveroso ricordare che quella che ci troviamo a vivere oggi non è l’unica transizione energetica che la nostra società ha conosciuto. Nella storia recente ne abbiamo attraversate altre tre. Infatti, all’inizio dell’Ottocento è iniziata la prima trasformazione energetica basata sul carbone. La seconda, basata sull’uso del petrolio, è iniziata ai primi del Novecento. L’ultima, basata sull’impiego del gas è iniziata nel 1930 e continua tuttora. Sono state trasformazioni produttive ed economiche lunghe e faticose perché richiedono investimenti ingenti in infrastrutture, macchinari, centrali, personale qualificato e regole d’attuazione.

Se per le precedenti transizioni il fattore economico è stata la causa principale, oggi dobbiamo tutti renderci conto che l’uso delle energie rinnovabili è indispensabile alla sopravvivenza della nostra vita sulla Terra come oggi la conosciamo. Ma ad oggi ancora l’80% della produzione di energia elettrica, a livello mondiale, arriva da fonti fossili e dal nucleare. Tuttavia, l’obiettivo di conseguire il 100% del fabbisogno energetico da fonti rinnovabili è ineludibile e va centrato entro il 2050.

La COP27 e le responsabilità

La COP27 ha preso atto delle divisioni fra nazioni già industrializzate e quelle in via di sviluppo, ciò è un riscontro cruciale perché la sostenibilità ambientale e quella sociale sono due concetti che devono marciare insieme. Senza azioni internazionali con obiettivi condivisi e condivisi metodi di finanziamento alla transizione energetica nessuna azione contro il cambiamento climatico sarà mai efficace. I Paesi in via di sviluppo ora criticano chi lo ha fatto per secoli senza curarsi delle ripercussioni negative sull’ambiente ed ora pretende dai Paesi poveri un’attenzione ed una cura che non ha mai concesso. Senza contare, in aggiunta, che lo stile di vita che vige nei Paesi sviluppati è stimato essere in termini di mobilità ed alimentazione otto volte più inquinante di quello dei Paesi più poveri.

Tuttavia ci sono stati alcuni segnali incoraggianti, infatti, l’Unione Europea e molti Stati Africani hanno ottenuto che la COP27 promuovesse l’istituzione di un fondo di compensazione per i Paesi più colpiti dal cambiamento climatico in atto. Inoltre, bisogna considerare il ruolo occulto delle Compagnie petrocarboniere che cercano di condizionare a loro favore, tramite azioni di lobbing, le scelte di politica economica degli Stati. Su di loro grava la responsabilità morale dei pericoli che l’umanità sta correndo ma nessuno le ha ancora portate sul banco degli imputati per rispondere dei danni provocati, anzi, vengono spesso finanziate con denari pubblici per centinaia di miliardi di dollari e, comunque, molto di più di quanto non si finanzino le rinnovabili.

Anche questo è un punto cruciale, se si realizzasse un’intesa internazionale volta a spostare il finanziamento pubblico dalle Compagnie petrolifere all’Energia rinnovabile tutti i Paesi del mondo trarrebbero giovamento in termini di sviluppo pacifico, diffuso, al riparo da meccanismi speculativi ed anche compatibile con gli obiettivi di conservazione del pianeta.

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