deposito nazionale

Tra le cose importanti che evidentemente in Italia non riteniamo urgenti c’è sicuramente il Deposito Nazionale, vale a dire l’infrastruttura ambientale di superficie che dovrebbe accogliere in sicurezza i rifiuti radioattivi prodotti nel nostro Paese.

La cosa non riguarda peraltro solo i rifiuti risultanti dalle nostre centrali nucleari dismesse, ma anche la grande quantità di rifiuti radioattivi a media e bassa intensità prodotti quotidianamente da ospedali, industrie e laboratori di ricerca, ormai per quantità cinque volte i primi. È vero che in futuro non produrremo nuovi rifiuti ad alta intensità legati all’attività delle centrali, ma è difficile pensare che certe metodiche diagnostiche stabilmente utilizzate in medicina e processi industriali consolidati in vari settori vengano abbandonati del tutto ed improvvisamente.

Una situazione di stallo

Purtroppo però l’Italia sullo smaltimento dei rifiuti radioattivi è drammaticamente ferma e non esiste una infrastruttura che permetta la loro messa in sicurezza definitiva. Il tentativo di localizzare un’area idonea e quindi di costruire il Deposito Nazionale attraverso un percorso trasparente è naufragato, si continua dunque a stoccare i rifiuti a bassa intensità in maniera provvisoria e non si ha nessuna idea di dove stoccare quelli ad alta intensità che torneranno in Italia nel 2025, dopo essere stati riprocessati in Francia e nel Regno Unito.

Non è esclusa una sanzione europea visto che l’articolo 4 della Direttiva Europea 2011/70 prevede che ogni stato membro si faccia carico dei propri rifiuti radioattivi. Forse anche per questo motivo persino la Francia, che produce il 75% della propria elettricità con il nucleare, ha già chiuso diverse centrali e prevede di abbassare questa percentuale in pochi anni al 50%.

Fa sorridere amaramente la constatazione che l’Italia abbia sprecato 30 anni di vantaggio, il nucleare fu abbandonato definitivamente nel 1987, per trovare una soluzione ad una questione che era chiara e definita già allora. Solo nel 2001 nacque la Sogin, azienda di stato che doveva gestire lo smantellamento delle centrali e la gestione dei rifiuti radioattivi, e solo nel 2015 la Sogin ha fornito al Mise una mappa dei siti idonei ad ospitare il Deposito Nazionale, una mappa che, a parte gli addetti ai lavori, nessuno ha mai visto.

Dove si trovano le scorie

Ma dove sono attualmente queste scorie? Un approfondimento a firma Jacopo Giliberto, giornalista pluripremiato esperto in questioni ambientali ha provato qualche tempo fa a fare un po’ di chiarezza. La maggiore quantità di scorie cattive è stoccata attualmente in Piemonte, nel deposito Avogadro nel vercellese, la maggiore quantità in assoluto nel Lazio. Ma ci sono decine e decine di depositi piccoli e temporanei (negli ospedali, acciaierie, centri ricerca etc..) in tutta Italia, al netto di venti depositi di dimensioni maggiori dove continuano ad affluire i materiali contaminati.

Come già detto il combustibile irraggiato delle quattro centrali nucleari nazionali dismesse non si trova più in Italia, ma dopo la riprocessazione (operazione funzionale a produrre materiale nucleare riutilizzabile) i rifiuti radioattivi conseguentemente prodotti vi faranno ritorno. Le quattro centrali dismesse sono localizzate, lo ricordo, a Trino Vercellese (Vercelli), Caorso (Piacenza), Garigliano Sessa Aurunca (Caserta) e Latina Borgo Sabotino, mentre altre scorie, ammontanti ad oggi a 16 tonnellate, si trovano nei depositi Itrec di Trisaia a Rotondella (Matera), oggetto di una indagine della Procura, Opec 1 della Casaccia (Roma), CCr di Ispra (Varese), il secondo deposito di scorie nucleari per dimensioni della UE, Lena nell’Università di Pavia, Triga Tc 1 della Casaccia (Roma).

Bisogna dire che anche all’estero non hanno le idee poi così chiare, a cominciare dagli Stati Uniti, il paese che più di tutti ha fatto della produzione di energia elettrica da fissione una bandiera. In fondo la questione assomiglia molto da vicino alla nostra, vale a dire al fatto che nessuno oggi sa come e dove realizzare quel deposito nazionale delle scorie radioattive che permettano di tenere al sicuro cesio, plutonio, stronzio ed altri derivati dal processo di fissione dell’uranio. Gli americani avevano individuato alcune aree di stoccaggio a Carlsbad nel New Mexico, Hanford nello stato di Washington e la Yucca Mountain nello stato del Nevada, ma siamo ben lontani da una soluzione definitiva. Solo a Carlsbad si calcola che oltre 3 milioni di litri di materiale radioattivo abbiano invaso l’ambiente. D’altra parte è difficile trovare materiali che abbiano una tenuta per l’eternità (il plutonio 239 ha un tempo di dimezzamento di 24.000 anni) ed i siti geologici devono essere stabilissimi.

Lo smaltimento delle centrali

Un’altra questione spesso sottovalutata riguarda lo smaltimento di una centrale. Quando una centrale ha funzionato per 40/50 anni ed è diventata obsoleta è necessario smaltirla proprio come le bottiglie di plastica, il vetro o la carta. Il punto è che tutto quello che è stato a contatto con materiali radioattivi lo è a sua volta e che il solo smantellamento di una centrale nucleare, alla fine della sua vita operativa, produce una quantità di scorie di quasi tre volte superiore a quella prodotta durante i 40 anni della sua attività.

Una buona notizia arriva dalla Finlandia, dove è in via di allestimento presso Onkalo, nella Finlandia dell’ovest, un deposito per le scorie nucleari permanente. A regime sarà lungo 60 chilometri a 420 metri di profondità ed è progettato per durare 100.000 anni. Lo stoccaggio comincerà nel 2025 e dovrebbe rimanere in funzione per circa 100 anni, prima di chiudere il sito con un tappo di cemento in via definitiva e l’ultimo, come si suol dire, butterà la chiave. Ai finlandesi, gli unici finora a dare una soluzione definitiva allo stoccaggio delle scorie nucleari, ha dato una mano la fortuna, grazie ad una sismicità prossima allo zero e ad un basamento roccioso di granito vecchio di quasi due miliardi di anni. Una rondine evidentemente non fa primavera.

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