pace

Nel 1992 il politologo statunitense Francis Fukuyama scrisse il celebre saggio dal titolo “The end of history and the last man”,  nel quale la storia veniva concepita come storia unidirezionale e universale dell’umanità, con una generica tensione verso il progresso e il costante miglioramento delle condizioni di vita umane, in contrapposizione all’idea degli storici e dei filosofi greci dell’antichità, che invece avevano parlato di un procedere ciclico degli eventi e di un continuo passaggio tra le diverse forme di governo, senza che una si qualificasse come la migliore.

Invece secondo Fukuyama la migliore forma di governo coinciderebbe con la democrazia liberale, capace di rispettare le aspirazioni sociali di ogni singolo cittadino consentendogli di affermarsi autonomamente e originalmente in base alle proprie capacità e ai propri mezzi.

Il migliore dei mondi possibili?

La caduta del muro di Berlino nel 1989 avrebbe rappresentato la conferma di questa tendenza globale, tanto da fargli teorizzare una imminente fine della storia, ossia l’affermazione definitiva e su scala globale della forma politica più perfetta, l’ultima possibile, guidata dal capitalismo che assicurerebbe il progresso tecnologico e industriale, capace a sua volta di produrre ceti medi che esigono partecipazione politica e uguaglianza dei diritti.

Qualche anno più tardi Thomas Lauren Friedman, sulla stessa lunghezza d’onda di Fukuyama, parlò addirittura in maniera metaforica di un mondo ormai piatto, nel senso di un mondo in cui il divario tra i paesi industrializzati e quelli definiti emergenti, come India e Cina, si sarebbe livellato definitivamente grazie alla globalizzazione. Tra le dieci forze che avrebbero contribuito a questo appiattimento ancora una volta al primo posto veniva collocata la caduta del muro di Berlino, con la conseguente fine della contrapposizione del blocco sovietico con quello occidentale e la nascita di un nuovo intreccio di relazioni, che avevano tratto ulteriore slancio dall’inizio dell’era Internet e dal relativo azzeramento delle distanze prodotto dalla tecnologia.

Un’illusione?

Poi però qualcosa sembra essersi rotto o forse le cose non sono proprio andate secondo le previsioni. La fine della guerra fredda non ha prodotto un mondo a stelle e strisce ispirato dai principi della democrazia liberale, anzi gli Stati Uniti hanno finito per logorarsi in una serie infinita di conflitti allo stesso tempo antimperiali e antinazionali, nel senso che hanno minato la credibilità americana nel mondo e la disponibilità della nazione a sostenerla, fino ad arrivare secondo il direttore di Limes, Lucio Caracciolo, non alla fine della storia bensì alla fine della pace, sancita dalla sconsiderata invasione russa dell’Ucraina del 24 febbraio del 2022.

Sconsiderata in quanto avrebbe rotto definitivamente un equilibrio già molto precario, ratificando un conflitto non dichiarato e in corso da tempo tra le tre grandi potenze economiche e militari di oggi: Stati Uniti, Russia e Cina. Le contestuali rivendicazioni cinesi, sempre più minacciose e ancor più pericolose su Taiwan lo confermerebbero. Si tratterebbe di una guerra in cui i tre contendenti starebbero cercando soprattutto e reiteratamente di spaccare la società dello stato rivale, determinandone l’implosione attraverso una rivoluzione “colorata”. L’implosione dell’altro è soluzione ideale dal punto di vista strategico, in quanto risparmia la guerra diretta, puntando alla guerra civile. È un’eventualità affatto remota in Russia, tanto meno in Cina e persino negli Stati Uniti, dove l’assalto di milizie armate al Campidoglio ha scosso profondamente le coscienze nel mondo occidentale. In particolare secondo Caracciolo la Russia sarebbe finita dentro un conflitto, quello ucraino, per il quale non era preparata e che non può perdere, pena la sua fine.

Il ruolo dell’Unione Europea

Intanto la vera vittima sembra però essere la velleità dell’Unione Europea di giocare un ruolo geopolitico o forse l’Unione Europea stessa, colpita pesantemente nel suo attore principale: la Germania. In un solo colpo l’aggressione russa ha colpito i quattro pilastri su cui si fonda la leadership di Berlino nel vecchio mondo, prospettandone per il futuro un ruolo più marginale: l’ombrello di sicurezza americano, l’interdipendenza energetica da gas con la Russia, la simbiosi economico commerciale con la Cina, da tempo privilegiata rispetto ai vicini europei, il primato nell’Unione Europea. La questione tedesca potrebbe riaprirsi, le due Germanie non sembrano più così vicine. Lo conferma il diverso atteggiamento verso la guerra dei nuovi Länder dell’Est, molto più aperti alla collaborazione con la Russia.

Ma la priorità a livello globale non dovrebbe essere la questione ambientale? Per noi ecologisti non c’è molto di cui rallegrarsi, il mondo ormai in bilico sul baratro della insostenibilità sembra totalmente in preda ad altre pulsioni, le solite pulsioni, come un treno in piena corsa senza macchinista. Serve evidentemente uno scatto di consapevolezza e di resistenza attivo/passiva da parte di ciascuno. La speranza è che queste fibrillazioni, per usare un eufemismo, siano delle inevitabili fluttuazioni lungo un processo comunque virtuoso ed inarrestabile, come osservato dallo stesso Fukuyama interrogato sulla questione e sulle vicende dei giorni nostri. Non possiamo che augurarci una fine della storia invece che la fine della pace. Su questo non c’è dubbio.

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