benessere animale

L’organizzazione animalista CIWF Italia ha cercato di riportare una stima degli animali che ogni anno vengono allevati e poi macellati in Italia (BDN, 2021):

  • 50 milioni di galline ovaiole di cui il 35% in gabbia, il restante in sistemi alternativi;
  • 533 milioni di polli da carne di cui il 92% allevati intensivamente;
  • Oltre 11 milioni di suini di cui il 98% allevati intensivamente;
  • 2,6 milioni di vacche da latte di cui l’85% allevate intensivamente;
  • 26 milioni di tacchini quasi tutti allevati intensivamente;
  • 8,5 milioni di quaglie quasi tutte allevate intensivamente in gabbia;
  • Oltre16 milioni di conigli quasi tutti allevati intensivamente in gabbia;
  • 2,5 milioni di bovini da carne di cui il 98% allevati intensivamente.

Negli allevamenti intensivi, gli animali vengono fatti crescere rapidamente per essere trasformati in prodotti di consumo nel minor tempo possibile. Vivono tutta la loro vita rinchiusi in capannoni spogli, sporchi e sovraffollati, spesso in gabbia, in condizioni che creano loro stress e disagio. Tali condizioni misere non consentono loro di esprimere alcun comportamento naturale e li predispongono a malattie. La selezione genetica utilizzata per ottenere razze ad alta produttività influisce molto spesso negativamente sulla loro salute.

Cosa si intende per benessere animale

Quando si parla di benessere animale, si fa riferimento a tre aspetti: benessere fisico, psicologico ed etologico (la possibilità di esprimere i comportamenti tipici di ogni specie). Un animale è in uno stato di benessere quando vengono rispettate le cosiddette “cinque libertà”:

  • Libertà dalla fame, dalla sete e dalla cattiva nutrizione;
  • Libertà di avere un ambiente fisico adeguato;
  • Libertà dal dolore, dalle ferite, dalle malattie;
  • Libertà di manifestare le proprie caratteristiche comportamentali specie-specifiche;
  • Libertà dalla paura e dall’angoscia.

Queste 5 libertà che sono l’emblema del benessere animale sono totalmente ignorate dall’attuale nostro sistema alimentare che è invece concepito e strutturato per esercitare sugli altri esseri viventi un dominio crudele e tirannico. Purtroppo, ogni anno sempre più animali vengono allevati negli allevamenti intensivi. L’allevamento intensivo è la più grande fonte di crudeltà sugli animali ed è la più grave forma di dispregio della vita sul pianeta: oltre 80 miliardi di animali terrestri vengono allevati per il cibo ogni anno in tutto il mondo, mentre i pesci sono più di 500 miliardi.

Gli effetti degli allevamenti intensivi

Gli allevamenti intensivi con le loro emanazioni clima-alteranti provocano gravi impatti sull’ambiente e sulla nostra salute, oltre che sul benessere degli animali. Le diete a base vegetale portano invece vantaggi non sono agli animali, che non dovranno soffrire negli allevamenti, ma anche a noi stessi e al pianeta. Possiamo ottenere tutti i nutrienti di cui abbiamo bisogno da fonti vegetali. Siano esse a base di cereali/legumi o innovazioni proteiche alternative alla carne a base vegetale, le alternative sono tutte ottime e salutari. In Italia, negli ultimi anni il consumo di prodotti vegetali è cresciuto, tanto che nel 2021 il 38% circa delle famiglie ha aggiunto alimenti plant-based al suo carrello.

Si prevede che il numero di persone sul nostro pianeta raggiungerà i 10 miliardi entro il 2050, e il rapido aumento della popolazione umana significa che la domanda di cibo aumenterà con essa. Se il nostro sistema alimentare continua sul suo attuale percorso significherà un aumento alle stelle delle emissioni di gas serra, una catastrofica distruzione della fauna selvatica e una perpetua sofferenza degli animali. Dobbiamo fare di più sovvenzionando gli allevamenti estensivi e biologici e ridurre il più possibile, o meglio, eliminare il consumo di alimenti di origine animale. Meno carne, uova e latticini nel piatto significano più progressi per gli animali, le persone e il pianeta e più spazio per ottimi cibi a base vegetale!

Garantire la sicurezza alimentare di una popolazione in crescita e, allo stesso tempo, rispettare i limiti del nostro pianeta, realizzando gli impegni dell’Accordo di Parigi e dell’Agenda di Sviluppo Sostenibile ONU è un obiettivo molto ambizioso. Tuttavia, proprio questa è la sfida della sostenibilità alimentare, a cui uno studio della Commissione EAT-Lancet, un gruppo scientifico internazionale e multidisciplinare, ha cercato di dare risposta. Migliorare il nostro sistema alimentare è la leva più potente che abbiamo a disposizione per proteggere sia il nostro pianeta, messo sotto pressione da agricoltura e allevamento intensivi, sia la nostra salute, minacciata ormai da diete sbilanciate più che dal consumo di alcool, droghe o tabacco. Il report parla chiaro: a cambiare dev’essere il sistema, con una strategia ambiziosa che coinvolga diversi settori e azioni a ogni livello, migliorando l’efficienza della produzione alimentare, riducendo le perdite e lo spreco di cibo, e favorendo il passaggio globale a una dieta bilanciata plant -based di tipo mediterraneo o, ancor più efficace, di tipo vegetariano.

Il ruolo dei farmaci

Nel corso degli ultimi anni i dati epidemiologici riferibili al fenomeno crescente dell’antibiotico resistenza sono allarmanti come riferito dall’ultimo report del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC). Si è calcolato che più di 35.000 persone muoiono ogni anno a causa di infezioni resistenti agli antimicrobici nei Paesi della dell’UE/SEE. L’Italia è al secondo posto per numero di morti stimati da infezioni resistenti agli antibiotici con 19 decessi ogni 100mila abitanti pari a circa 11.000 decessi l’anno. Prima di noi la Grecia con 20 decessi ogni 100.000 abitanti.

Il numero stimato di decessi nel rapporto prende in esame gli anni 2016-2020 e mostra un aumento rispetto alle stime precedenti. L’impatto sulla salute della resistenza antimicrobica (AMR), sottolinea l’ECDC, è paragonabile a quello dell’influenza, della tubercolosi e dell’HIV/AIDS messi insieme.

“Vediamo aumenti preoccupanti nel numero di decessi attribuibili a infezioni da batteri resistenti agli antimicrobici, in particolare quelli che sono resistenti al trattamento antimicrobico di ultima linea”, ha affermato Andrea Ammon, direttore dell’ECDC. “Ogni giorno quasi 100 persone muoiono a causa di queste infezioni nell’UE/SEE. Per questo sono necessari ulteriori sforzi per continuare a ridurre l’uso non necessario di antimicrobici, migliorare le pratiche di prevenzione e controllo delle infezioni, progettare e attuare programmi di gestione antimicrobica e garantire un’adeguata capacità microbiologica a livello nazionale”

Tuttavia, tale allarmante situazione riconosce alcune cause ben precise e l’abuso di antibiotici in zootecnia è una delle cause principali del fenomeno dell’antibiotico-resistenza. Impiego estensivo di antibiotici a sua volta richiesto dal tentativo di far sopravvivere fino alla macellazione gli animali detenuti in condizioni di sovraffollamento e sporcizia, caratteristiche tipiche degli allevamenti intensivi.

Di fronte all’allarme del pubblico circa il diffondersi della resistenza agli antibiotici tra le persone, causata soprattutto dall’abuso di antibiotici in zootecnia, si sono diffuse linee di prodotti di carne e uova etichettate come “senza antibiotici”.

Questa etichettatura indica che il prodotto proviene da animali che non sono stati sottoposti a trattamenti antibiotici in nessun momento della loro vita o, in alcuni casi, solo per un certo periodo di tempo limitato. Tuttavia, questo non esclude che siano stati sottoposti ad altri trattamenti farmacologici con effetti equivalenti e non garantisce alcuna strategia di lotta efficace all’antibiotico-resistenza. Molti pensano che l’eliminazione degli antibiotici da parte delle aziende implichi per forza una migliore qualità di vita per gli animali. Ma non è così: “senza antibiotici” non indica necessariamente un maggior livello di benessere per gli animali. Peraltro, smettere semplicemente di usare antibiotici senza migliorare l’ambiente in cui essi vivono potrebbe non avere alcun impatto sul loro benessere o potrebbe addirittura avere un impatto negativo. Gli animali dovrebbero avere diritto a condizioni di allevamento che riducano al minimo la possibilità di ammalarsi. E queste non sono comunque mai quelle dei sistemi intensivi ma solo, ed unicamente, quelli estensivi basati sul pascolo, che andrebbero adeguatamente e pubblicamente finanziati.

Lettura consigliate:

Guida al consumo consapevole CIWF Italia (2022)

Quotidianosanità.it 12/12/2022

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