Qualche settimana fa è uscito il 13° rapporto Greenitaly elaborato da Fondazione Symbola e Unioncamere. Nel precedente articolo abbiamo focalizzato la nostra attenzione sulla situazione del paese confrontata con l’Europa. In questo articolo andremo a focalizzarci sul tema “Imprese eco-investitrici e green jobs”.
Imprese e investimenti verdi
Le imprese italiane che hanno previsto di effettuare eco-investimenti sono il 24,3% del totale nel 2021, in aumento rispetto al 21,4% registrato nella precedente rilevazione (2020); erano invece il 14,3% nel 2011 con una contrazione notevole nel 2014 (5,7%). Se invece analizziamo il quinquennio 2017-2021, sono ben 531.170 le imprese che hanno effettuato eco-investimenti (o che investiranno con riferimento al 2021) pari al 37,6% del totale (erano il 31,9% nel periodo 2016-2020). Nell’industria manifatturiera sono state 2 su 5 nel periodo.
Guidano la classifica di percentuale le “public utilities” (energia, gestione idrica…) con il 50,8% delle aziende nel settore, seguono industria manifatturiera e industria con, rispettivamente, il 42,5% e il 40,5% (36,3% e 33,7% nel 2016-2020). Sotto la media nazionale il settore delle costruzioni al 37,1% (era però il 28,7% nel 2016-2020) e il settore dei servizi al 36,4% (31,2%nel periodo 2016-2020).
Nel complesso l’incidenza delle imprese che hanno effettuato eco-investimenti è cresciuta del 51% dal 2014-2018 (24,9%) al 2017-2021 (37,6%). Nell’industria manifatturiera a farla da padrona sono i settori chimica farmaceutica e gomma (60% del totale) , nei servizi la logistica (48% del totale).
Se consideriamo la grandezza delle aziende vediamo una chiara correlazione tra grandezza e propensione ad investire infatti “la classe dimensionale da 1 a 9 dipendenti risulta l’unica con valori sotto la media nazionale (34,2%), mentre al crescere delle dimensioni di impresa cresce l’incidenza di imprese intervistate che ha effettuato investimenti in tecnologie verdi, con la classe di medio grandi imprese (250- 499 dipendenti) che si attesta come la più dinamica (64,4%)”.
Inoltre nel quinquennio 2017-2021 non è possibile identificare una differenza negli investimenti di alcune aree geografiche rispetto ad altre: “Se in passato, infatti, il Nord emergeva come l’area più dinamica con una certa superiorità rispetto alle altre, nel quinquennio analizzato la forte crescita relativa degli investimenti green delle imprese nelle altre aree del Paese ha di fatto ridotto gli squilibri territoriali. In tutte le macroaree l’incidenza delle imprese interessate da investimenti green è compresa in un intervallo strettissimo intorno alla media nazionale (37,6%), con un massimo nel Nord-Est (38,7%) ed un minimo nel Centro (36,1%), con una differenza tra le due aree di meno di tre punti percentuali”.
Il report inoltre dimostra come le aziende eco investitrici siano di fatto più competitive (il 49% delle imprese green-oriented, infatti, ha dichiarato di prevedere un incremento di fatturato nel 2022, 39% invece quelle che non hanno investito nella transizione green). Le aziende si aspettano anche di aumentare i propri dipendenti e di aumentare l’export. Stesso discorso vale per le imprese familiari, le quali rappresentano larga parte del tessuto imprenditoriale italiano, la loro quota eco-investitrici che confida in un recupero dei livelli di produttività entro il 2022 è pari al 35%,a fronte del 24% delle imprese che non investono nel green; mentre per le imprese non familiari le percentuali si attestano rispettivamente al 30% e 17%.
I green jobs
A fine 2021 gli occupati che hanno svolto una professione verde erano pari a 3.095.800 unità, pari al 13,7% dell’occupazione totale. I Green jobs si confermano lavori qualificati dove è necessaria una grande professionalità, capacità di lavorare in autonomia e capacità di problem solving. Le aziende fanno molta fatica a trovare profili adatti e qualificati (40,6% delle aziende) e hanno maggiore bisogno di formare i propri dipendenti (44,7%) rispetto ad una azienda che ricerca profili non green (rispettivamente 27,8% e 33,2%).
I Green Jobs inoltre forniscono agli addetti , oltre ad un maggiore salario dovuto ad una maggiore qualifica (Nda), anche una maggiore stabilità (24,1% dei contratti previsti sono a tempo indeterminato) rispetto ai no green jobs (13,2%). Nel 2021 si è visto “un incremento diffuso dei fabbisogni occupazionali del sistema imprenditoriale italiano, incremento che non ha sostanzialmente modificato i rapporti preesistenti tra lavori green e altre occupazioni. La crescita delle nuove attivazioni green nel 2021 è, inoltre, distribuita in modo sostanzialmente uniforme nelle macroaree del Paese, in quanto la distribuzione geografica”. Rispetto al 2020 emerge una forte crescita passando da +443.380 unità a +1.600.460 (+38,3%).
I settori in cui più stanno trovando spazio i green jobs sono: progettazione, ricerca e sviluppo (85.3%), logistica (80,2%),tecnica (78,6%), marketing e comunicazione (78%)
Lo studio conferma che “La predominanza dei green jobs si afferma in tutte le aree ad alto valore aggiunto; si tratta di un aspetto che trova conferma anche con il passare delle indagini, per cui si può affermare che i green jobs si configurano come un driver strategico per la crescita e lo sviluppo delle imprese moderne”.
Conclusioni
È chiara ormai la spinta propulsiva economica e sociale della transizione ecologica. Possiamo ormai dichiarare, numeri alla mano, che la transizione ecologica e digitale oltre che l’industria 4.0, se è vero che porta con sé rischi è ancor più vero che porta in dote una enorme quantità di opportunità che con il PNRR non potremo mancare. La società ecologica e sostenibile non sarà “lacrime e sangue” ma bensì un nuovo modo di intendere la vita,il lavoro e la società nel suo complesso superando la logica del consumo a tutti i costi, della crescita come unico baluardo alla povertà e il PIL economico come stella polare. Il mondo sta cambiando, dovremo cambiare anche noi.