Negli ultimi tempi, le persone in tutto il mondo stanno acquisendo maggiore consapevolezza climatica e quindi sono preoccupate per il futuro del pianeta e per gli eventi meteorologici estremi sempre più frequenti. Vi è un chiaro consenso sugli effetti fisici del cambiamento climatico, che riguardano l’uomo, la biodiversità e la Terra, ma le persone iniziano a comprendere anche l’impatto del cambiamento climatico sulla salute mentale.
Le comunità che, già oggi, sono duramente colpite dalla crisi climatica, sperimentano veri e propri eventi traumatici (alluvioni, tempeste e altri eventi atmosferici estremi, sempre più frequenti), mentre le altre popolazioni sono colpite, magari, più da un danno di tipo indiretto ma non meno impattante, che passa per cambiamenti sociali, economici e ambientali che portano a uno stress dovuto al senso di insicurezza. Ma anche le persone e/o le popolazioni che non sono colpite dal cambiamento climatico in modo diretto, possono manifestare emozioni negative, ad esso legate, come ansia, stress, depressione, insieme a senso di impotenza e senso profondo di perdita, ossia proprio quei sentimenti che la consapevolezza dei gravi problemi del nostro pianeta possono scatenare. Non c’è più, quindi, alcun dubbio sul fatto che la crisi climatica che stiamo ormai vivendo, abbia profondi effetti sulla salute e il benessere mentale delle persone, in particolare degli adolescenti e dei giovani. Diversi studi concordano sul fatto che la salute mentale di bambini/e e ragazzi/e che, in questo momento storico stanno affrontando un senso di perdita di controllo (disempowerment) legato soprattutto ai cambiamenti nello stile di vita che li hanno accompagnati durante la pandemia ma anche come conseguenza della crisi climatica, ha registrato un innegabile deterioramento, che impone un’attenzione maggior. La sentita partecipazione ai Fridays for future, le manifestazioni per il clima, ci indica proprio che i ragazzi sono molto preoccupati per la crisi climatica e il mondo degli adulti deve diventare più consapevole dell’impatto di tale preoccupazione. Bambini/e e adolescenti sono maggiormente esposti a questo genere di disturbi, in quanto, a differenza delle generazioni precedenti, sono cresciuti in un contesto in cui lo spettro del cambiamento climatico è costantemente in agguato e, pertanto, non si sono mai sentiti protetti e al sicuro. Ne è una prova il fatto – assolutamente non casuale – che gli scioperi per il clima (es. Fridays for Future) coinvolgano proprio le generazioni più giovani: sono loro a sentire maggiormente il peso e l’ineluttabilità dei cambiamenti climatici ed è a loro che bisogna guardare per la costruzione di buone prassi collettive che li vedano protagonisti.
Non è per nulla azzardato, quindi, affermare che essere informarti sulla crisi climatica rappresenta, senza ombra di dubbio, un’esperienza emotivamente provante. Le nuove generazioni, negli ultimi anni, sono cresciute con questa consapevolezza e ciò, se per un verso, è positivo dato che saranno i decision maker del futuro, tuttavia, ha anche un impatto sul loro benessere mentale. Inoltre, i ragazzi oggi non hanno alcun potere decisionale sulla questione ambientale e questo può contribuire alla frustrazione e all’ansia, insieme a sentimenti di disperazione e impotenza. Negli ultimi anni sono aumentate le ricerche scientifiche riguardanti le ripercussioni dei cambiamenti climatici sulla psiche. L’impatto dei cambiamenti climatici ha coinvolto sempre più studiosi e ricercatori di tutto il mondo, soprattutto americani e australiani. In particolare, studi recenti evidenziano come i cambiamenti climatici producano malessere psicologico agendo su più livelli.
Il “grido d’allarme” degli esperti-gli studi sull’eco-ansia
I giovani, pur essendo sempre più informati e consapevoli degli effetti negativi dei cambiamenti climatici sul pianeta e sulla salute umana, ma questa conoscenza può spesso portare a risposte affettive significative, come disagio psicologico, rabbia o disperazione.
“Cresce l’eco-ansia o ansia ecologica, il malessere psicologico legato ai timori dei cambiamenti climatici o ai traumi di eventi meteorologici estremi. Un disagio che colpisce soprattutto le giovani generazioni, perché sentono forte il tema del futuro“. Quest’affermazione proviene dal presidente del Consiglio nazionale degli Ordini degli psicologi (Cnop), David Lazzari, ed è stata rilasciata in occasione del vertice Cop27, che si sta svolgendo a Sharm el-Sheikh, in Egitto.
Se, da un lato è sempre più chiaro – tanto più a breve distanza dall’ultimo sciopero globale per il clima di Fridays for Future dello scorso 23 settembre – che affrontare la questione climatica è sempre più urgente, non solo a livello politico, economico, sociale ed ambientale, ma anche dal punto di vista psicologico e della salute mentale, dall’altro, è altrettanto chiaro che, la comprensione del cambiamento climatico, senza la contemporanea acquisizione degli strumenti per far fronte alle emozioni che accompagnano questa conoscenza, può portare alla disperazione e alla negazione.
Ma cosa si intende, in realtà, per eco-ansia o ansia ecologica?
Ci si riferisce, di solito, alla sintomatologia ansiosa sperimentata in risposta al cambiamento climatico. Negli ultimi anni, i media hanno puntato i riflettori sugli effetti del riscaldamento globale di origine antropogenica (ossia indotto dalla condotta dell’uomo sul Pianeta): aumento delle temperature, cambiamento delle rotte dei venti e della distribuzione delle piogge, estinzione di alcune specie animali, difficoltà negli approvvigionamenti di cibo, distruzione di ecosistemi e, in un futuro non troppo lontano, migrazioni climatiche.
L’American Psychological Association (APA), attualmente, non riconosce l’eco-ansia come una effettiva condizione medico-patologica, ma la considera come una minaccia per la salute pubblica, compresa quella mentale, che definisce “paura cronica del destino ambientale”.
Attraverso una recente revisione sistematica della letteratura, è stato possibile riassumere i risultati degli studi che hanno indagato questi aspetti, confermando che prevalgono sentimenti come preoccupazione e ansia, disperazione, paura e rabbia. L’incremento della, più volte citata, consapevolezza circa il cambiamento climatico, collegato alla preoccupazione per il futuro e al senso di impotenza, rappresentano le basi per l’eco-ansia, che può essere caratterizzata anche da paura e panico, rabbia, sensazione di svuotamento, stanchezza, senso di colpa, finanche ad includere disperazione e vere e proprie fobie.
La studiosa Terra Léger-Goodes et al. (2022) – nella loro review “Eco-anxiety in children: A scoping review of the mental health impacts of the awareness of climate change” – confermano che i bambini e i giovani sperimentano risposte affettive ed eco-ansia, come reazione alla presa di coscienza del cambiamento climatico: provano preoccupazione, senso di colpa, paura, rabbia, disperazione e tristezza, nel momento in cui diventano consapevoli del cambiamento climatico e delle sue conseguenze. Tutte queste emozioni, potrebbero potenzialmente costituire diverse espressioni di eco-ansia nei bambini e nei giovani. Ad esempio, giovani provenienti da comunità vulnerabili, come le comunità indigene, o coloro che hanno forti legami con la terra, sono spesso identificati come colpiti emotivamente dal cambiamento climatico. Tuttavia la stessa Léger-Goodes, insieme ad altri ricercatori, ritengono che si sappia ancora poco circa le modalità in cui bambini e giovani sperimentano l’eco-ansia. Preoccupazione e speranza sono le due emozioni più riportate.
Altri autori, considerano l’eco-ansia “una specie di disturbo pre-traumatico da stress”, poiché le conseguenze dell’evento traumatico vengono sperimentate ancor prima che se ne abbia esperienza diretta. Inoltre, il senso di malessere e disagio connesso al cambiamento climatico, include anche il c.d. “lutto ecologico” derivante dalla perdita di ecosistemi, paesaggi, abitudini, etc. e la solastalgia, un neologismo coniato da Albrecht (2005) che descrive una sensazione di nostalgia per la propria casa che si sta degradando e, metaforicamente, la sofferenza che ci pervade quando l’ambiente che ci circonda viene violato: una sorta di lutto, un dolore persistente prodotto da una sensazione di perdita.
La eco-psicoterapeuta americana, Renèè Lertzman, utilizza il termine di melanconia (malinconia) ambientale, per indicare un processo psicologico conflittuale, causato dalla messa in atto di azioni quotidiane inquinanti (alle quali gli uomini sono abituati dallo stile di vita indotto dalla società) e il desiderio di salvaguardare la natura, con la quale la specie umana continua a sentirsi intimamente connessa: un’ambivalenza che porterebbe alla paralisi e alla sensazione di impotenza ad agire che si tradurrebbe in un disinteresse verso l’ambiente e nel perpetuarsi di azioni inquinanti.
Infine, è utile citare le tre modalità in base a cui il cambiamento climatico ha impatto sulla salute mentale proposte da Berry et al. (2010):
- l’impatto diretto: sperimentazione diretta di un evento meteorologico estremo (alluvione, uragano, incendio boschivo, ecc.), che può arrecare un disturbo da stress post-traumatico (PTSD), disturbi depressivi, disturbi d’ansia, disturbi da uso di sostanze e pensieri suicidi.
- gli impatti indiretti dei cambiamenti climatici possono anche incidere sulla salute mentale, attraverso conseguenze sull’economia, migrazione, danni alle infrastrutture fisiche e sociali, carenza di cibo e acqua e conflitti, che sono stati tutti collegati a stress, dolore, ansia e depressione (Hayes et al., 2018).
- le reazioni vicarie, invece, riguardano l’impatto emotivo e affettivo della consapevolezza del cambiamento climatico vissuta attraverso la conoscenza del problema: anche “solo” assistere agli effetti del cambiamento climatico, senza sperimentarlo in prima persona (es. attraverso i media e altre fonti di informazione) può avere un impatto sulla salute mentale, generando emozioni quali senso di colpa, tristezza e rabbia, inglobali sotto la denominazione di “eco-ansia” (Pihkala, 2020).
Ci sono alcuni fattori che rendono una persona, o un gruppo, più vulnerabile all’eco-ansia: la giovane età, l’elevata esposizione a problemi ambientali fisici e la forte esposizione a notizie inquietanti sulla crisi ecologica. Le donne sembrano essere maggiormente sensibili a tali emozioni rispetto agli uomini. I professionisti della sostenibilità e gli attivisti ambientali soffrono di una maggiore eco-ansia, sebbene abbiano anche alcune risorse speciali che aumentano la resilienza, come il senso di efficacia e la possibilità di intervento.
Che fare? Come si può gestire l’eco-ansia?
I bambini/le bambine e i giovani e le giovani, affrontano l’eco-ansia in vari modi, attraverso sia risposte disadattive (ad esempio la negazione) sia adattive (come la speranza costruttiva, utilizzata come meccanismo di coping[1] positivo). Infatti, le diverse reazioni all’eco-ansia, possono essere comprese all’interno di uno spettro: da un lato, i bambini che provano forti emozioni e che le affrontano in modo positivo possono essere più fiduciosi e agire; dall’altra parte, alcuni bambini possono essere sopraffatti da questi sentimenti e non avere gli strumenti per affrontarli adeguatamente, portando a una potenziale paralisi, disperazione appresa e negazione.
Ecco (anche) perché, quello della possibile “eco-psicologia”, è un ambito di ricerca del tutto nuovo, pertanto non è possibile poter identificare degli strumenti indubbiamente efficaci nel trattamento di questo malessere del XXI secolo; chi si occupa di eco-psicologia, lo fa agendo su due ambiti specifici:
- individuale: possibilità, a chi chiede aiuto, di riscoprire le proprie risorse personali per metterle al servizio dei valori che intende perseguire, limitando la tendenza a catastrofizzare e riscoprendo le sfumature di un mondo non solo “in bianco e nero”, anche mediante pratiche di mindfulness e gratitudine, oltre all’avvio di abitudini o routine salutari;
- collettivo, attraverso la messa in contatto di individui con bisogni simili, la promozione di programmi di educazione ambientale e l’incentivazione di zioni di gruppo volte alla salvaguardia del pianeta.
Come ci ha insegnato anche il periodo di pandemia da COVID-19, il costruire la resilienza, è certamente una strategia efficace, così come anche il non focalizzarsi solo sull’impatto negativo della crisi climatica, perché il rischio è di limitare la discussione e rallentare un eventuale approccio resiliente verso soluzioni creative nei giovani. Allo stesso modo, focalizzarsi eccessivamente sul singolo individuo, potrebbe indebolire l’importanza della comunità e del ruolo di educatori e insegnanti, nel supportare gli adolescenti che vivono questo disagio. Al contrario, può essere di grande aiuto un approccio partecipativo ad azioni comunitarie di risposta al cambiamento climatico. Convincerli a partecipare attivamente ad attività per l’ambiente all’interno di un gruppo di persone può essere utile a costruire intorno a loro un ecosistema forte dal punto di vista della salute mentale e di ridurre il peso che grava su di loro.
Cosa puoi fare tu?
Proprio perché quello dei cambiamenti climatici è un tema emergente, esistono ancora diverse lacune negli studi sull’eco-ansia, soprattutto riguardo alle categorie dei bambini/e dei/delle giovani, per cui sono assolutamente necessari ulteriori ricerche e studi, al fine di comprenderne la natura sfaccettata e gli interventi, sia sociali che individuali, da implementare.
Molti studi qualificati mettono in evidenza l’importanza del legame viscerale degli esseri umani con la Terra e la Natura che in essa si sviluppa come elementi fondamentali ed irrinunciabili per il benessere psicofisico degli esseri viventi, esseri umani compresi: ed è più che possibile che, proprio in virtù di questo legame profondo tra uomo e natura, i cambiamenti climatici e la frattura che ne deriva con la natura, stiano portando alla luce nuovi costrutti psico-patologici, i quali, una volta approfonditi, potrebbero tradursi in azioni importanti per il benessere ambientale e psicologico a livello mondiale.
Pertanto, è davvero prioritario porre la giusta ed accurata attenzione al benessere mentale dei ragazzi e delle ragazze, anche in riferimento a come essi/esse si pongono davanti a questa crisi, per fornire loro strumenti per gestire le proprie emozioni nel miglior modo possibile. Gli studiosi esperti del fenomeno, sono convinti che sia fondamentale “continuare a identificare e consolidare le evidenze disponibili sull’impatto diretto e indiretto della crisi climatica sui ragazzi, allo scopo di individuare i fattori protettivi e gli interventi necessari per mitigare i suoi effetti negativi”. Gli esperti raccomandano anche di promuovere e attivare i propri meccanismi di resilienza in questa situazione. Tuttavia, è necessario adottare immediatamente queste misure. In altre parole, è necessario comprendere questo problema come un elemento multidimensionale e considerare il fatto che, il modo migliore per ridurre l’ansia ecologica è essere ben informati e impegnati sul tema dei cambiamenti climatici e delle possibili conseguenze negative a livello mentale ed e motivo: in questo modo, ogni singola persona deve avere e cogliere l’opportunità di diventare parte della soluzione. I processi psicologici, infatti, qualora siano accompagnati da soluzioni strutturali e vengano implementati in maniera etica, possono fornire un significativo aiuto nel prevenire ciò che presto potrebbe diventare un processo irreversibile di distruzione del nostro pianeta e delle sue risorse
Infine, tre “consigli pratico-operativi” o, meglio, tre semplici azioni per ridurre il disagio procurato dall’eco-ansia, soprattutto per le persone più giovani:
- pensare e riflettere sui cambiamenti climatici, quando si considerano le proprie scelte e propri stili di vita quotidiani (ciò che si mangia, come si viaggia e cosa e dove si effettuano i propri acquisti, e così via);
- parlare e confrontarsi con i propri amici e le proprie amiche sulla crisi climatica e ambientale (e, dunque, ance sociale), con la rassicurante consapevolezza che, seppure nell’impossibilità concreta di poter cambiare il mondo da soli, sapere di poter fornire, in ogni caso, un grande contributo alla mitigazione della crisi climatico-ambientale, sensibilizzando l’ambiente in cui si vive, nella propria quotidianità.
- infine, informarsi sulle misure adottate, a livello politico, così come sui partiti e i gruppi politici, e sui Decision-makers, che si impegnano attivamente e seriamente per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici, per orientare ed esprimere il proprio voto, di conseguenza. Anche il presidente del Consiglio nazionale degli Ordini degli psicologi, David Lazzari, sottolinea la necessità “di moltiplicare le iniziative, soprattutto nelle scuole, promuovendo la conoscenza dei fenomeni, perché sapere riduce la paura, ma anche insegnando strategie di gestione delle emozioni. La psicologia conosce e insegna queste strategie“.
[1] Il concetto di coping, introdotto dallo psicologo americano Richard Lazarus, rappresenta l’insieme di strategie e meccanismi di adattamento che le persone possono utilizzare, per fronteggiare i problemi (esempio, per gestire lo stress, emozioni negative, conflitti con gli altri e altre difficoltà). Alcune di esse sono utili (coping positivo), altre meno e altre ancora dannose (coping negativo).