Il 3 novembre si è svolta a Roma la quarta edizione del Forum dell’Acqua. La situazione, come viene descritta è tutt’altro che confortante. Questo lo sappiamo ormai da anni. Si continua a discutere sul tema acqua, ma poi nei fatti si susseguono governi e amministratori, ma il problema rimane solo sulla carta.
È in corso una delle stagioni più secche di sempre, con scarse precipitazioni e temperature elevate fino a novembre, ma sembra che i dati che emergono da questi studi e da questi convegni siano solo da archiviare in attesa del prossimo report e che, poi, in pochi se ne preoccupino veramente.
La dimostrazione l’abbiamo scorrendo i bilanci dello stato degli ultimi 20 anni “alla voce acqua e conduzioni idriche la cifra stanziata è pari a zero” (L’Espresso n. del 14/08/2022).
Il governo Draghi grazie al PNRR è riuscito a finanziare tutto il comparto con 4,3 miliardi, ne servirebbero 60 di miliardi per l’ammodernamento delle reti solo per uso civile, di questo passo ci vorranno più di 100 anni e a quel punto la siccità potrebbe aver già reso inutili gli interventi.
Nella IV edizione del Forum dell’acqua, Legambiente propone di utilizzare l’impronta idrica “come strumento per il miglioramento dell’efficienza d’utilizzo della risorsa idrica di settori, processi e prodotti e di adattamento alla crisi climatica”.
L’acqua è la risorsa naturale più sensibile ai cambiamenti climatici, e ci mostra tutti gli effetti dell’inquinamento e della crisi che stiamo vivendo. La siccità e gli eventi estremi rendono vulnerabili i territori provocando danni alle attività produttive, alla salute dei cittadini e agli ecosistemi, per questo bisogna rivedere la gestione di questa risorsa e l’impronta idrica potrebbe sicuramente essere un primo passo verso un cambiamento virtuoso nell’utilizzo dell’acqua.
Il concetto di impronta idrica
Oggi in Italia il prelievo di acqua supera i 33 miliardi di m³ l’anno, il 78% per consumi, circa 26 miliardi di metri cubi, e la media del 22% di dispersione idrica dovuta ad una rete obsolescente da ammodernare. Il 55% dei consumi proviene dal settore agricolo, il 27% dal settore industriale e il 18% da quello civile. Però, secondo il Water Footprint Network, l’impronta idrica in Italia supera i 130 miliardi di metri cubi, più della metà è relativo all’acqua utilizzata per prodotti o ingredienti importati dall’estero.
Per comprendere bene l’importanza dello strumento “impronta idrica” prendiamo la definizione che ne dà il ministero della Transizione Ecologica, ridenominato oggi Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (niente più transizione quindi sic!): “L’impronta idrica è un indicatore del consumo di acqua dolce che include sia l’uso diretto che indiretto di acqua da parte di un consumatore o di un produttore.
Il computo globale della water footprint è dato dalla somma di tre componenti:
- Acqua blu: si riferisce al prelievo di acque superficiali e sotterranee destinate ad un utilizzo per scopi agricoli, domestici e industriali. È la quantità di acqua dolce che non torna a valle del processo produttivo nel medesimo punto in cui è stata prelevata o vi torna, ma in tempi diversi;
- Acqua verde: è il volume di acqua piovana che non contribuisce al ruscellamento superficiale e si riferisce principalmente all’acqua evapo-traspirata per un utilizzo agricolo;
- Acqua grigia: rappresenta il volume di acqua inquinata, quantificata come il volume di acqua necessario per diluire gli inquinanti al punto che la qualità delle acque torni sopra gli standard di qualità”.
Quindi la somma di questi tre componenti determina l’impronta idrica di uno Stato.
Il caso Italia
L’Italia, senza grandi colpi di scena, è tra i Paesi peggiori, proprio perché non solo non ha finanziato l’intero comparto per 20 anni, ma non si è neanche preoccupata di generare delle pratiche utili e responsabili che preservassero un bene di prima necessità come è l’acqua. Vista la situazione, senza indugi, anche qui visto il ritardo nel preservare e proteggere le risorse naturali, applicare questo strumento potrebbe rivelarsi una soluzione vincente “per risolvere la crisi idrica globale introducendo un uso giusto e intelligente dell’acqua” per citare il sito del Water Footprint Network.
Legambiente durante il forum dell’acqua ha proposto di adottare un nuovo approccio basato proprio sull’impronta idrica: migliorare la gestione delle risorse idriche, completando e migliorando la rete fognaria e di depurazione; migliorare la sostenibilità ambientale dei processi; aumentare la consapevolezza nei confronti dei consumatori finali e dei produttori. Sarebbe molto utile, sempre secondo l’associazione ambientalista, introdurre etichette intelligenti per la consapevolezza del consumatore; inserire la Water Footprint tra le norme richieste dai Criteri Ambientali Minimi; ridurre le perdite degli acquedotti dando priorità alle reti idriche urbane; progettare impianti e processi industriali che riducano drasticamente l’utilizzo di acqua “nuova”; innovare il sistema agroalimentare italiano con finanziamenti fortemente orientati a favorire il minor consumo di acqua.
Nei prossimi mesi la crisi idrica potrebbe diventare ulteriore causa di pandemie, migrazioni, carestie, disagi in diversi settori produttivi e se non si interviene al più presto potrebbe diventare anche la causa di ulteriori crisi internazionali e conflitti tra paesi.