La crisi climatica e quella della biodiversità rappresentano due facce della stessa medaglia, causate entrambe dall’uso insostenibile delle risorse del nostro pianeta. Se non si smetterà di trattare queste due emergenze come due problemi separati, non ci potrà essere nessuna soluzione. L’allarme è stato lanciato dalla quattordicesima edizione del Living Planet Report, redatto dal WWF, che fornisce una puntuale panoramica dello stato della biodiversità, dei i suoi legami con la crisi climatica, dei fattori umani che la causano e delle possibili soluzioni utili alla nostra stessa sopravvivenza e benessere.
La perdita di biodiversità minaccia le generazioni attuali e future
La biodiversità è definita come la varietà della vita e delle interazioni tra gli esseri viventi a tutti i livelli, geni, popolazioni, specie ed ecosistemi, sulla terra, nell’acqua, nel mare e nell’aria. La perdita di biodiversità è una minaccia per le generazioni attuali e future, basti pensare all’importanza degli ecosistemi terrestri, d’acqua dolce e marini, che ci forniscono servizi essenziali per il benessere umano come cibo, mangimi, medicinali, energia e fibre. Il riscaldamento globale sta cambiando il mondo naturale, provocando eventi di mortalità di massa e le prime estinzioni di intere specie. Il report misura l’abbondanza media delle popolazioni di vertebrati attraverso l’indice del Pianeta Vivente (Living Planet Index – LPI). Nell’edizione di quest’anno il Living Planet Index, che ha analizzato 32.000 popolazioni di oltre 5.000 specie (con più di 838 nuove specie e poco più 11.000 nuove popolazioni aggiunte rispetto al precedente rapporto), mostra un calo medio del 69% dell’abbondanza delle popolazioni di specie di vertebrati – mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci – monitorate tra il 1970 e il 2018. L’America Latina e la regione dei Caraibi registrano il maggior calo medio dal 1970 (94%). Nello stesso periodo, le popolazioni monitorate in Africa sono diminuite del 66% e quelle in Asia-Pacifico sono calate del 55%. In Nord America, le popolazioni di vertebrati monitorate sono scese del 20%, mentre l’Europa e l’Asia centrale hanno registrato un calo del 18%. Tra i gruppi di animali analizzati, le tendenze demografiche per le specie d’acqua dolce registrano un calo verticale e preoccupante dell’83%. Ad oggi, tra l’1 e il 2,5% delle specie di uccelli, mammiferi, anfibi, rettili e pesci si è già estinto.
L’importanza delle popolazioni indigene nel ricostruire il rapporto uomo-natura
Il cambiamento dell’uso del suolo è ancora il principale fattore di perdita di biodiversità, insieme alla crescente domanda di energia e acqua. Le foreste, ad esempio, sono fondamentali per la regolazione del clima terrestre, scambiando più carbonio, acqua ed energia con l’atmosfera rispetto a qualsiasi altro ecosistema terrestre. Non solo, le foreste influiscono anche sull’andamento delle precipitazioni e sulla gravità delle ondate di calore, incidendo sulla resilienza dei sistemi agricoli e delle comunità locali. La connettività ecologica è gravemente minacciata dalla distruzione e dal degrado della natura che portano ad una pericolosa frammentazione degli habitat. Le prove scientifiche basate su ricerche di biogeografia insulare e studi su metapopolazioni di specie dimostrano che habitat collegati sono più efficaci per preservare le specie e le funzioni ecologiche. Le linee guida concordate a livello mondiale definiscono come promuovere i corridoi ecologici per ottenere la connettività, dalla politica all’azione sul campo, riconoscendo allo stesso tempo i bisogni e i diritti delle popolazioni indigene e locali. Il report, infatti, dedica un capitolo all’importanza della leadership indigena nella conservazione. Imparando dagli esperti indigeni, si può riaprire una porta a un approccio alla conservazione che rispetti le interconnessioni intrinseche tra le persone e i luoghi.
Costruire una società nature-positive. La COP15 sulla biodiversità sarà fondamentale
Sappiamo che la salute della Terra è compromessa e siamo consapevoli anche del perché. Le conoscenze e i mezzi per frenare questa emergenza globale si conoscono. Ciò che manca è la volontà di farlo. L’obiettivo di “zero emissioni nette” non è sufficiente se non si adotta un approccio nature-positive. Tutto ciò vuol dire semplicemente più natura: più foreste naturali, più pesci negli oceani e nei sistemi fluviali, più impollinatori nei nostri terreni agricoli, più biodiversità in tutto il mondo. Un futuro positivo per la natura porta innumerevoli benefici al benessere umano ed economico, compresa la sicurezza climatica, alimentare e idrica. Insieme, gli obiettivi di zero emissioni nette entro il 2050 e di biodiversità netta positiva entro il 2030 rappresentano la bussola per un futuro sicuro per l’umanità, per una transizione verso un modello di sviluppo sostenibile e per supportare il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) al 2030. Servono cambiamenti a livello di sistema nel modo in cui si produce e consuma, nella tecnologia che si usa e nei sistemi economici e finanziari. Il report, inoltre, sollecita l’adozione di un piano concordato a livello globale e attuato localmente e che sia allo stesso tempo equo, inclusivo e che tenga conto dei diritti dei popoli indigeni e delle comunità locali.
L’orizzonte è la quindicesima conferenza della Convenzione sulla Diversità Biologica (COP15) della Nazioni Unite a Montreal, in Canada. Questo momento, programmato per il prossimo dicembre, sarà fondamentale per spingere verso una maggiore responsabilità e attenzione in tema di biodiversità al pari di quella che si intravede già nell’azione per il clima.