La malattia del cancro è descritta da almeno 4000 anni e continua a rappresentare una delle più grandi piaghe per gli esseri viventi. Siddharta Mukherjee, oncologo, ricercatore e docente universitario, ha vinto nel 2011 il premio Pulitzer per la saggistica con L’imperatore del male, raccontando proprio la storia dell’epica lotta contro questa malattia, combattuta da medici ed eroi, da geni della ricerca ma soprattutto da gente comune.
La civilizzazione ha reso il cancro più visibile, grazie all’aumento dell’età media e dell’aspettativa di vita, ma ha anche indiscutibilmente allargato e modificato lo spettro dei tumori, favorendo la diffusione di alcuni piuttosto che di altri. Il cancro allo stomaco ad esempio è stato molto più diffuso in certe fasce di popolazione alla fine del XIX secolo, probabilmente per la presenza di sostanze cancerogene nei conservanti, mentre l’incidenza di cancro ai polmoni è drammaticamente aumentata a partire dagli anni Cinquanta del Novecento, come risultato di un aumentato inquinamento e della diffusione del fumo di sigaretta.
L’origine e lo sviluppo
In realtà il cancro non è una malattia, ma un complesso di malattie che hanno un’origine e spesso manifestazioni diverse. Tali malattie vengono accomunate da una caratteristica fondamentale: una crescita cellulare abnorme e la capacità di queste cellule di migrare producendo delle metastasi. Un tempo l’approccio era solo chirurgico, spesso condotto in maniera più che radicale, nella convinzione che per evitare le metastasi occorresse asportare chirurgicamente i tumori ben al di là della loro estensione, sottoponendo i pazienti ad interventi tanto inutili quanto macabri e fisicamente devastanti. Poi l’avvento quasi casuale della chemioterapia (a partire da centinaia di sostanze chimiche sviluppate inizialmente dall’industria tessile come coloranti) portò all’idea che potesse esistere una sorta di pallottola magica come cura del cancro. Si procedeva però sostanzialmente alla cieca e per tentativi. Quindi a partire dalla seconda metà del secolo scorso si fecero scoperte degne di nota: l’attività degli antifolati ed altri chemioterapici nel trattamento delle leucemie, la terapia antiormonale nei tumori alla prostata ed al seno, la relazione tra fuliggine e cancro allo scroto, tra il fumo di sigaretta e il cancro al polmone, tra l’esposizione all’amianto ed il mesotelioma, quella possibile tra l’infiammazione prodotta dal virus dell’epatite ed il cancro al fegato. Tali scoperte contribuirono in alcuni casi ad una migliore gestione della malattia, sicuramente ad una fondamentale campagna di prevenzione.
Nei decenni successivi si è poi appurato che sia alcuni virus che alcune sostanze esogene sono in grado di attivare mutazioni genetiche, ma non attraverso l’inserimento dall’esterno di geni estranei bensì attraverso l’attivazione di proto-oncogeni endogeni, cioè di geni normalmente presenti nel nostro DNA, ove presiedono fisiologicamente a funzioni di riproduzione cellulare. Come disse il premio Nobel per la medicina Varmus: “si è svelato che la cellula tumorale non è altro che una versione distorta di noi stessi”.
Il cancro è l’interfaccia fra la società e la scienza
La progressione, come dimostrato da Vogelstein negli anni Novanta, è tuttavia molto lenta. Il cancro spesso procede a strappi verso la propria evoluzione ultima, poiché le cellule coinvolte subiscono un discreto numero di mutazioni e le accumulano nel tempo prima di diventare maligne. Ebbene oggi abbiamo creato un universo chimico intorno a noi ed i nostri geni vengono sollecitati da molecole sempre diverse quali pesticidi, farmaci, cosmetici, materie plastiche, prodotti alimentari, persino forme diverse di impulsi fisici, come le radiazioni ed il magnetismo. Alcune di queste sostanze e di questi impulsi saranno inevitabilmente cancerogeni ed è nostro compito tenere alta la guardia.
In sostanza il cancro è l’interfaccia tra la società e la scienza. C’è una sfida biologica, che consiste nello sfruttare l’incredibile progresso delle conoscenze scientifiche per sconfiggere questa malattia antica e terribile, ed una sfida sociale, che consiste nel mettere in discussione le nostre abitudini, i nostri riti ed i nostri comportamenti. L’obiettivo andrebbe però ridefinito, ponendo l’attenzione soprattutto sulla precocità di talune manifestazioni cliniche, essendo la morte in età avanzata inevitabile. Sarebbe comunque una vittoria sul nostro genoma e sulla nostra inevitabilità, oltre che sulle tante distorsioni del nostro modo di vivere e di stare insieme.