Aurelien Barrau, astrofisico francese impegnato nella causa ecologista, l’ha definita in un saggio dal titolo analogo La più grande sfida dell’umanità. Si tratta evidentemente dell’emergenza planetaria con cui tutti siamo purtroppo oggi chiamati a confrontarci.
Una situazione catastrofica
Dopo aver fatto un’analisi impietosa della situazione, Barrau delinea uno scenario che definisce senza mezzi termini come “catastrofico”. In 40 anni, più di 400 milioni di uccelli europei sono spariti, più di 3 miliardi negli Stati Uniti. Il numero di specie selvagge si è dimezzato, mentre i rapporti del gruppo di esperti intergovernativi sull’evoluzione del clima parla di una sparizione di specie e quindi di biodiversità che si è moltiplicata per 100 a partire dall’inizio del XX secolo. Dal 1990 in avanti il numero di insetti volanti è crollato in Germania dell’ottanta per cento. Al mondo non restano che un migliaio di ghepardi, il numero di leoni negli ultimi 30 anni si è dimezzato, l’orango-tango è in una situazione più che disperata.
L’ecatombe è di una dimensione terrificante. Ogni anno la superficie delle città aumenta di circa 400 milioni di metri quadrati e la deforestazione per fini agricoli produce dei dati ancora più inquietanti. Solo un quarto delle terre emerse è per il momento al riparo dalle attività umane, ma non ne resterà che il 10% nei prossimi trenta anni, per la massima parte si tratterà di deserti, montagne e regioni polari. Più di 15 miliardi di alberi vengono abbattuti ogni anno e non resta che il 46% di quelli che la Terra vantava prima della nascita dell’agricoltura. Gli animali marini non se la passano affatto meglio, visto che 1000 miliardi di unità vengono uccisi ogni anno. In una situazione analoga si trovano i pesci d’acqua dolce, la cui popolazione si riduce ogni anno del 4%. Mi fermo qui.
Come agire?
Secondo Aurelien Barrau questo andamento raccapricciante potrebbe essere corretto solo attraverso una riduzione generalizzata dei consumi e quindi attraverso una conseguente, ma parziale, decrescita economica. D’altra parte in fisica, fissato un qualunque contesto finito, un uso delle sue risorse condotto in maniera continuativa non può che portare a delle instabilità capaci di condurre il sistema considerato rapidamente al collasso.
La riduzione dei consumi potrebbe passare o attraverso l’iniziativa individuale oppure attraverso l’azione politica. La prima possibilità appare come la più semplice e la più dolce da applicare, potendosi tradurre in semplici cambiamenti di abitudini, quali la riduzione nell’uso dei condizionatori (è piuttosto singolare pensare di contrastare il surriscaldamento globale attraverso degli strumenti che contribuiscono ad aumentarlo), la riduzione degli spostamenti individuali in auto o una diminuzione del consumo di carne.
Questo punto in particolare merita dell’attenzione in quanto l’industria alimentare della carne è in assoluto l’industria più inquinante che si conosca. È noto che un chilogrammo di carne richieda 10.000 litri d’acqua, così come il fatto che l’allevamento emetta più gas serra di qualunque altra attività umana, trasporti compresi. Per non parlare dell’enorme beneficio che ne trarrebbero in primis gli animali stessi da allevamento, sottoposti a condizioni di vita spaventose, se di vita si può parlare. L’80% dei polli da allevamento non vedrà mai la luce naturale e il numero degli animali terrestri abbattuti per fini alimentari sfiora la cifra iperbolica di 100 miliardi di unità ogni anno.
D’altra parte però anche l’ipotesi di una decrescita “imposta” per legge secondo l’astrofisico francese non è affatto poco ragionevole. Essa rientrerebbe nelle facoltà della politica, quando la responsabilità individuale sembra non bastare. La legge ha infatti anche il ruolo di limitare le libertà individuali quando queste finiscono per nuocere troppo al bene comune, non è dunque legittimo introdurre il bene ecologico in questo bene comune?
“Questo non significa instaurare una dittatura verde! Al contrario. Significa molto semplicemente darsi degli strumenti per evitare il peggio, significa considerare la vita di un valore superiore al denaro. La vita merita di essere protetta. Significa apprendere di nuovo, in questo contesto, che la libertà non può distruggere la natura che, in realtà, la rende possibile. Noi non siamo liberi di torturare, violentare, mutilare i nostri simili. Perché noi dovremmo essere liberi di distruggere il mondo e di decidere che i nostri figli non ci possano vivere?” La piccola privazione di libertà che ne risulterebbe sarebbe giustificata dall’immensità dei suoi benefici.