oceani

Niente accordo sul trattato internazionale di protezione degli oceani. La quinta sessione di lavori presso l’ONU si è conclusa il 26 agosto, dopo due settimane di trattative, senza raggiungere nessuna intesa sul trattato destinato a tutelare le aree marine extraterritoriali.

Lo scopo principale del documento, di cui si parla da almeno quindici anni, è di proteggere l’alto mare, ossia l’aria marina che si trova dopo le zone economiche esclusive (Zee) degli Stati e che quindi non ricade sotto la giurisdizione di un singolo paese. Nonostante le acque internazionali rappresentino quasi i due terzi degli oceani del mondo, solo l’1,2% è attualmente protetto. Gli scienziati avvertono che una reale tutela della biodiversità marina può avvenire solo salvaguardando almeno il 30% degli oceani entro il 2030 con la creazione di veri e propri santuari marini. Per queste ragioni, il fallimento degli ultimi negoziati ha destato molta preoccupazione fra gli esperti sulla reale possibilità di raggiugere questo obiettivo in tempi rapidi.

Greenpeace contro il blocco occidentale e Russia

I negoziati si sono concentrati su quattro aree chiave: istituzione di aree marine protette, miglioramento delle valutazioni di impatto ambientale, finanziamenti e rafforzamento delle capacità ai paesi in via di sviluppo, condivisione delle risorse genetiche marine e del materiale biologico proveniente da piante e animali nell’oceano che può generare benefici per la società, come prodotti farmaceutici, processi industriali e cibo. La discussione ha visto una frattura fra i paesi del Nord e del Sud del mondo. Durissima la reazione di Greenpeace contro Stati Uniti, Canada e UE. “Mentre alcuni gruppi, come le isole del Pacifico e il gruppo dei Caraibi, hanno spinto molto per portare il Trattato al traguardo, i Paesi del Nord globale hanno iniziato a lavorare per raggiungere dei compromessi solo negli ultimi giorni di negoziazione, dopo che è stato rivelato che i negoziati erano sull’orlo del collasso”spiega l’associazione ambientalista. “La Russia è stata anche un blocco fondamentale nei negoziati, rifiutando di impegnarsi nel processo del Trattato stesso o cercando di raggiungere un compromesso con l’Unione Europea e molti altri Stati su un’ampia gamma di questioni”. Sotto accusa sono i paesi membri della High Ambition Coalition, forum politico di alto livello composto da 50 membri, tra cui l’Unione Europea.

Le distanze restano lontane su vari punti centrali

Uno dei punti più discussi è stato la distribuzione dei possibili benefici derivanti dallo sfruttamento delle risorse in alto mare. Molti Stati temono, infatti, che un accordo vincolante possa danneggiare eventuali interessi economici futuri. Restano sul tavolo temi caldi come lo status dell’Artico e le possibili nuove rotte e giacimenti che potrebbero nascere con lo scioglimento dei ghiacciai, la pesca illegale  e lo sfruttamento delle risorse minerarie a grandissima profondità. Salvo che l’assemblea generale delle Nazioni Unite non programmi una sessione speciale di lavori per concludere i negoziati, i colloqui non riprenderanno fino al prossimo anno.

Due mesi fa la Conferenza di Lisbona sugli oceani

Solo due mesi fa, a Lisbona, si era tenuta una Conferenza Onu sulla protezione degli oceani alla presenza di 142 delegati da tutto il mondo. In quell’occasione, il Segretario ONU António Guterres aveva esortato gli Stati a mettere da parte i loro egoismi in favore della tutela dei mari attraverso la creazione di economie marine sostenibili e la lotta all’inquinamento da plastica. Secondo la Nasa, i mari del mondo sono già in sofferenza, avendo assorbito il 90% del riscaldamento causato dall’aumento dei gas serra prodotti dalle attività umane. Il tempo però stringe.

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