giovani

Durante una discussione con amici è emerso con chiarezza che una buona parte degli elettori italiani è disinteressato a partecipare al voto delle elezioni politiche del 25 settembre prossimo. Tra i miei amici molte persone sono indignate dal comportamento fin qui tenuto da alcuni partiti, molti sono arrabbiati e delusi e si dichiarano disinteressati all’esito del voto. Tutto ciò mi ha spinto ad approfondire il tema dell’astensionismo, confermato, peraltro dai seguenti dati. Il tasso di partecipazione al voto in Italia è sceso dal 92,3% nel 1948 al 75,2% nel 2013, con un incremento stimato dell’astensionismo di circa il 40% nel 2021.

astensionismo
Astensionismo alle elezioni politiche in Italia

Secondo il Prof. Riccardo Cesari, professore ordinario di Metodi Matematici per l’Economia e le Scienze Attuariali e Finanziarie dell’Università di Bologna, il prossimo dato nazionale sfonderà di molto la soglia del 30 per cento, cinque volte il minimo storico degli anni Settanta. In termini assoluti, questo 30 per cento si traduce in 15 milioni di elettori astenuti su 50, pari al 43 per cento (=15/35).

Mancata rappresentanza

Qualcuno potrebbe osservare che in fondo anche il non voto è una legittima espressione della volontà dell’elettore e che per conoscere l’opinione di una popolazione, anche se ne intervistasse un campione del 60 per cento si otterrebbero comunque risultati molto rappresentativi. Invece le cose non stanno proprio così perché se quel 40 per cento di assenze è un gruppo sistematico ed omogeneo, per esempio tutte donne, o tutti meridionali, o tutti del Nord, o tutti giovani, il risultato di quel voto uscirebbe fortemente distorto e per nulla rappresentativo dell’intera popolazione.

Nel corso della mia analisi ho scoperto che la partecipazione dei giovani elettori sotto i 25 anni d’età alle elezioni risulta essere controversa. Da un lato un sondaggio di Eurobarometro, commissionato dal Parlamento europeo segnala che l’elevata affluenza alle elezioni europee del 2019 è stata determinata da un aumento della partecipazione dei giovani. I risultati dell’indagine post elettorale di Eurobarometro, mostrano che “l’aumento dell’affluenza alle urne è stato determinato principalmente dalle giovani generazioni in tutta l’Unione. In particolare, i giovani cittadini sotto i 25 anni (+14 punti percentuali sul 2014) e i 25-39enni (+12 punti percentuali sul 2014) sono andati al voto in numero maggiore rispetto al passato”. L’affluenza alle elezioni europee è stata del 50,6%, la più alta dal 1994.

D’altro canto, la componente degli elettori giovani è in Italia tendenzialmente più assente al momento del voto rispetto agli anziani, infatti il report 2020 dell’ISTAT segnala che la mancanza di partecipazione generale nei confronti dei temi politici riguarda circa il 30% dei giovani tra i 18 ed i 34 anni, ben 10 punti percentuali in più rispetto al 2014.

Tra gli aspetti che aiutano a spiegare questi alti e preoccupanti livelli di astensionismo possiamo elencare almeno due ragioni. La prima è che si sta realizzando una tendenza a partecipare solo alle tornate elettorali più importanti. La seconda, più diffusa tra i giovani, è che i programmi elettorali di ciascun partito sono percepiti come poco incisivi per affrontare i complessi problemi della vita quotidiana e tale mancanza di fiducia nella classe politica e nelle Istituzioni genera una forte disillusione sulla possibilità che la politica sia ancora capace di proporre una soluzione convincente ai problemi da affrontare.

Le priorità per i giovani

Quali sono i temi politici attuali più rilevanti per i giovani italiani? Dalle generazioni precedenti hanno ereditato un mondo problematico quanto a precarietà lavorativa, ad inquinamento pervasivo e generalizzato, ad una società moderna in cui è sempre più complicato vivere, acquistare una casa, trovare un lavoro dignitoso, mettere su famiglia. Hanno ereditato un mondo più fragile per la crisi ambientale in atto ed anche più insicuro per le tensioni sociali sia nazionali che internazionali.

I partiti politici tradizionali con le loro promesse non mantenute, il loro opportunismo ed i giochi di potere risultano lontani e disinteressati al futuro dei nostri Giovani. Negli ultimi anni i ragazzi in Italia ed in tutto il mondo sono scesi in piazza sostanzialmente per i temi ambientali e per i diritti civili. Vale a dire per il loro futuro e per una messa in discussione di una nuova visione della vita collettiva.

Cosa si potrebbe fare per invertire la rotta? L’ astensionismo che concorda con la rappresentazione della politica come un’attività irrimediabilmente degradata, perversa e disonesta non è, e non può essere, la soluzione perché così facendo non cambierà niente. Il disinteresse e la passività non costruiranno un futuro migliore! Al contrario i giovani devono reagire ed interessarsi alla politica per cambiarla. L’ alleanza Europa Verde e Sinistra Italiana sono in ascolto delle istanze presentate dai giovani e realizzano una proposta programmatica valida a contrastare le fondate preoccupazioni dei giovani in tema di misure di contrasto alla crisi climatica ed alla precarietà del lavoro.

Moltissime opportunità

Una società e un’economia sempre più green vedranno un aumento di posti di lavoro legati alla sostenibilità. Altri posti di lavoro – quelli della filiera delle fonti fossili, ad esempio – verranno perduti. Ma sarà niente al confronto del numero di disoccupati che potrebbero essere causati dalla crisi climatica: senza un’azione decisa contro il riscaldamento globale, stima l’ILO ((International Labour Organization), 72 milioni di posti di lavoro a tempo pieno andranno persi in tutto il mondo entro il 2030.

La transizione ecologica sta provocando già ora cambiamenti non irrilevanti nel mondo del lavoro. A fine 2020 il complesso degli occupati che svolgevano una professione di green job in Italia era, secondo il rapporto GreenItaly di Symbola e Unioncamere, pari a 3,1 milioni, di cui 1 milione al Nord-Ovest (33,8% del totale nazionale), 740 mila nel Nord-Est (23,6%), 671 mila al Centro (21,4%) e le restanti 669 mila unità nel Mezzogiorno (21,3% del totale nazionale). “Possiamo constatare – si afferma nel rapporto – che la pandemia ha avuto un effetto asimmetrico sui diversi settori e comparti dell’economia: se molti hanno perso quote di reddito ed occupazione nel 2020, per altri c’è stata, invece, crescita o consolidamento. Il settore green rientra tra questi”. In termini relativi, gli occupati che svolgono una professione di green job nel 2020 sono stati il 13,7% del totale degli occupati. Tutto questo è il presente. Maroš Šefčovič, vicepresidente della Commissione europea, fa sapere che i soli obiettivi climatici stringenti fissati dalla Commissione, con una riduzione del 55% delle emissioni di gas serra nell’UE entro il 2030, “potrebbero portare a un aumento netto fino a 884.000 posti di lavoro” in Europa.

Passare ad un’economia in cui la sostenibilità ambientale abbia più spazio, stima l’ILO, potrebbe creare globalmente 24 milioni di posti di lavoro entro il 2030 (il calcolo è limitato al settore dell’energia, dell’edilizia, della mobilità elettrica, dell’efficienza energetica).  “L’economia verde può consentire a milioni di persone di superare la povertà e raggiungere una migliore qualità della vita”, ha detto Deborah Greenfield, vicedirettore generale dell’ILO.

Parallelamente, un’economia più sostenibile porterebbe alla perdita di sei milioni di occupati globali in settori come quello della filiera del petrolio, dell’estrazione e dell’impiego del carbone. Ecco perché, sottolinea l’ILO, “per compensare queste perdite saranno necessarie le politiche complementari per proteggere i lavoratori e garantire che la transizione sia giusta”.

E se invece le nazioni della Terra non scegliessero di contrastare la crisi climatica? “Gli aumenti di temperatura previsti e il degrado ambientale intaccheranno i posti e le condizioni di lavoro, poiché il lavoro dipende dalle risorse naturali, dai servizi ecosistemici e da un ambiente privo di disastri”, sottolinea ancora l’International Labour Organization. L’ILO prevede infatti che 72 milioni di posti di lavoro a tempo pieno andranno persi entro il 2030 a causa dello stress termico.

La perdita di posti di lavoro legati alla transizione green richiede, se vogliamo che sia anche una transizione equa, politiche adeguate di welfare e di accompagnamento per i settori e i lavoratori legati ad esempio, alla filiera delle fonti fossili o dell’auto a combustione interna.

Negli Orientamenti strategici per una transizione giusta e inclusiva, la Commissione europea ritiene “essenziale mettere in atto azioni strategiche a sostegno delle persone e di un loro coinvolgimento attivo” In particolare “agevolare le transizioni professionali, trasferendo ulteriormente la pressione fiscale dal lavoro ad altre fonti che contribuiscono agli obiettivi climatici e ambientali”. Secondo Nicolas Schmit, Commissario per il Lavoro e i diritti sociali,”il Green Deal è un imperativo economico e climatico ed è responsabilità di tutti noi garantirne collettivamente il successo. Tuttavia, non sottovalutiamo l’impatto sociale e occupazionale della transizione verde. L’equità sociale deve essere posta al centro di tale transizione”.

Più sostenibilità, più lavoro

Gli investimenti della transizione energetica ed ecologica sono più labour intensive (occupano più lavoratori) di quelli nelle fossili. Il World Resources Institute, l’International Trade Union Confederation e New Climate Economy hanno calcolato che, a parità di fondi, si dà lavoro a più persone se si investe in energia rinnovabile, trasporto pubblico o veicoli elettrici piuttosto che su combustibili fossili o trasporto diesel e benzina.

Secondo uno studio di Greenpeace Italia del giugno 2020, se il nostro Paese facesse scelte più ambiziose per affrontare l’emergenza climatica, da queste scelte potrebbero arrivare 163mila nuovi occupati nel 2030. E se Elettricità Futura (Confindustria del settore elettrico) afferma di essere in grado di installare 60 gigawatt di rinnovabili nei prossimi 3 anni a patto di ottenere le relative autorizzazioni, WWF traduce questi gigawatt in occupati a stima 80 mila nuovi posti di lavoro (con un risparmio di 15 miliardi di metri cubi di gas ogni anno)

Europa Verde e Sinistra Italiana promuovono convintamente la transizione ecologica, l’economia circolare, la tutela dell’ambiente e della biodiversità e la tradizione di Europa Verde in tal senso raccoglie la più che trentennale eredità e credibilità dei Verdi italiani; contestualmente, nel proporre questo punto programmatico caratterizzante difendono anche il lavoro giovanile e l’innovazione in molti settori produttivi.

In realtà non tutti i partiti si disinteressano dei giovani e del loro futuro, le politiche ambientali ed economiche proposte da Europa Verde e Sinistra Italiana per i giovani possono avere ricadute positive anche in termini di partecipazione sociale, per ridare senso e vigore a un sistema politico avviato su una pericolosa deriva, testimoniata da uno sterile astensionismo, che sta progressivamente togliendo linfa vitale alla rappresentanza democratica.

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