giappone

Partendo dall’adagio di Confucio, “Il momento migliore per piantare un albero è vent’anni fa. Il secondo momento migliore è adesso”. Anche in Giappone, il momento migliore per attuare la transizione energetica e produttiva è passato, ma sono ora all’opera per rimediare ai propri errori. Ricordando che il Giappone è comunque all’avanguardia rispetto ad alcune tecnologie, tra cui per esempio nella produzione di energia elettrica da correnti marine (cosiddetta mareomotrice), a che punto è sulla pianificazione della transizione in confronto al nostro paese?

Il confronto

In primis, il Giappone intende concludere il piano di transizione verde delle industrie entro il 2022, con l’obiettivo di raggiungimento dello Zero Netto di Emissioni entro il 2050. Il piano si riferisce perlopiù alla modifica delle infrastrutture e delle tecnologie utilizzate dalle industrie pesanti, ossia quelle più inquinanti. In comparazione, l’Italia è più avanti, avendo già approvato il PNRR nel 2021 ed essendo ora nella fase di attuazione, per la quale ha ricevuto dalla Commissione Europea la prima rata da 21 miliardi dei 191,5 miliardi totali.

Siamo quindi più avanti rispetto al Giappone? Dipende, visto che PNRR ed i piani Giapponesi viaggiano su rotaie diverse. Mentre il PNRR è omnicomprensivo, con progetti dalla transizione energetica alla salute, alla digitalizzazione e così via, il Giappone sta pianificando su più fronti. Per esempio, la riduzione dello spreco energetico a livello famigliare e infrastrutturale è vista come un progetto a parte da finanziare con 155 miliardi di Euro. Nel PNRR, invece, tale obiettivo è inserito in un ben più ampio progetto, comprendente anche l’introduzione dell’idrogeno ed il rafforzamento della mobilità ciclistica, per i quali saranno disposti appena 39,14 miliardi di Euro complessivi.

A proposito di idrogeno, mentre in Italia è stata disposta una semplice missione di sperimentazione per l’utilizzo dello stesso a livello di mobilità e per i settori più inquinanti per 3,19 miliardi di Euro, in Giappone se ne sta parlando in termini di 150 miliardi di Euro per i prossimi 10 anni. Ovviamente tutto questo a livello statale, mentre ancora più fumosi rimangono gli investimenti privati. Certo però è che gli investimenti privati seguono i guadagni, ed è quindi necessario un impulso iniziale da parte dello Stato per rendere profittevoli quelle tecnologie ed i nuovi sistemi.

I punti forti

Nello specifico, il punto di forza della programmazione giapponese è nello stabilire obiettivi con ognuno dei settori di produzione: la decarbonizzazione dell’industria siderurgica, dell’industria chimica e di sei altri settori molto inquinanti verranno portati avanti separatamente, con interazioni dirette tra governo e industrie. In tal modo, sarà più difficile per le aziende in tali settori di attuare l’ormai famoso greenwashing, senza che il governo stesso venga accusato di esserne complice. Nel frattempo, in Italia le grandi aziende hanno ampie possibilità di inclusioni di progetti a basso potenziale ecologico: secondo il Green Recovery Tracker, appena 48 miliardi del PNRR andranno a finanziare progetti dai risultati sufficientemente apprezzabili.

Per questo motivo, pur nel mezzo di una crisi energetica a seguito degli eventi in Ucraina e della situazione politica italiana, Angelo Bonelli ed Eleonora Evi hanno più volte criticato il PNRR ed il suo potenziale. Tra le critiche, figurano infatti il potenziale finanziamento di aziende inquinanti per progetti potenzialmente non verdi e l’inadeguatezza del piano per la rivoluzione dei consumi all’interno dei diversi settori. In conclusione, seppur ancora in fase programmatica, il Giappone potrebbe essere più avanti di noi: Chi ben comincia è a metà dell’opera.

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