inflazione

Dopo la pandemia e la guerra, ma probabilmente proprio a causa di queste, secondo l’Istat l’inflazione a giugno galoppa verso un +8%. Purtroppo, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC) registra quindi un aumento dell’1,2% su base mensile, considerato il +6,8% del mese di maggio.

I dati

L’Istat sottolinea che questa ulteriore accelerazione della crescita su base tendenziale dell’indice generale dei prezzi al consumo si deve prevalentemente da una parte ai prezzi dei Beni energetici (la cui crescita passa da +42,6% di maggio a +48,7%) e dall’altra a quelli dei Beni alimentari, sia lavorati (da +6,6% a +8,1%) sia non lavorati (da +7,9% a +9,6%), dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +4,4% a +5,0%) e dei Servizi relativi ai trasporti (da +6,0% a +7,2%).

Insomma, una debacle su tutta la linea. Un dato che non si registrava da ben 36 anni, esattamente da gennaio 1986, quando fu pari a +8,2%.

Ma il dato più preoccupante è che, come spiega l’Istat,  “Poiché i beni incidono in misura maggiore sulle spese delle famiglie meno abbienti, e i servizi pesano invece di più su quelle più agiate, la crescita dell’inflazione segna valori più elevati per le famiglie con minore capacità di spesa. Per loro passa dal +8,3% del primo trimestre al +9,8% del secondo trimestre, mentre per quelle più abbienti accelera dal +4,9% al +6,1%. Pertanto, il differenziale di classe si amplia a 3,7 punti percentuali.

Le possibili soluzioni

Le soluzioni che, come ecologisti, proponiamo, oltre a quelle immediate (Europa Verde chiede di mettere subito a disposizione gli extraprofitti generati dalle grandi compagnie energetiche per ridurre le bollette, ad esempio) sono strutturali.

Un cambiamento di pensiero, economico, è a questo punto necessario. Non possiamo continuare a pensare alla decrescita in senso negativo, come faranno al vertice dei ministri delle Finanze e banchieri centrali nel G20 di Bali nei prossimi giorni.

Come abbiamo ampiamente illustrato anche in altri articoli, l’idea dovrebbe essere una  “conversione ecologica” per riconsiderare e riorientare nel suo insieme il sistema economico e sociale partendo da nuovi principi etici ed ecologici.

Potremmo partire da questi punti per ragionare insieme e avviare un dibattito interessante:

  1. Intervenire con tutti gli strumenti necessari per sgonfiare le “bolle finanziarie” e azzerare gran parte del debito pubblico fino a ridimensionare la sfera monetaria e riportare la funzione stessa del denaro alle sue origini di mezzo tecnico ausiliario utile per gli scambi ma non finalizzabile all’accumulazione e alla moltiplicazione della ricchezza. Per questo sarebbe necessario “rimettere barriere al mercato finanziario mondiale e riframmentare gli spazi monetari” (Latouche);
  2. Avviare una conversione ecologica degli apparati energetici e produttivi per ridurre al minimo la dipendenza da fonti fossili; produrre beni che possano durare a lungo evitando ogni forma di inquinamento; coltivare in modi biologici e realizzare la maggiore autosufficienza produttiva su basi locali, senza aver paura di porre in essere misure di protezionismo ecologico e sociale a scala bioregionale;
  3. Azzerare l’idea stessa dell’economia come scienza autonoma autoreferenziale per ricondurla a mero strumento contabile al servizio dei bisogni sociali autentici delle popolazioni, che sono: l’impiego di tutta la disponibilità di lavoro, l’equità distributiva, il rispetto della dignità delle persone, la responsabilità sociale e ambientale delle imprese. Nel concreto, si tratta di favorire la diversificazione dei modi di produzione allargando tutte le forme di economia non profittevole, “solidale”, “civile”, “sociale”, non dipendente dal debito.
  4. “Progettare e praticare un diverso modo di vivere, di produrre, di consumare, di amministrare”, cambiando comportamenti: da individui automi eterodiretti dal marketing a produttori e consumatori consapevoli con vincoli di solidarietà, capaci di essere utili a sé e agli atri. Cittadini che si prendono cura della preservazione dei beni comuni.
  5. Da subito è possibile pensare ad un piano del lavoro straordinario per creare posti di lavoro senza crescita, volto alla conservazione e alla messa in sicurezza dei patrimoni naturali, storico artistici e infrastrutturali, finanziato – oltre che con le politiche fiscali tradizionali – creando nuovi circuiti monetari pubblici nazionalizzati paralleli e indipendenti (monete complementari). Con la creazione, cioè, di una quota di ricchezza nazionale de‐globalizzata e al riparo dai tentacoli della speculazione finanziaria.

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