Il cambiamento climatico esiste ed è fattuale. La temperatura della terra sta raggiungendo picchi di massima mai raggiunti ed ogni anno si aggiungono eventi quali siccità, piogge violente ed altre, che in precedenza erano solo occasionali. Insomma, qualcosa è cambiato e bisogna cercare le cause di tale cambiamento in modo tale da ritornare alla normalità precedente. Ovviamente, la ricerca scientifica è affidata a chi lo fa di professione, ma segue linee guida e finalità diverse da quelle della politica. La politica semplicemente sceglie, e lo fa per rappresentare e conseguire gli obiettivi cari alla propria popolazione.
La scienza
La ricerca scientifica è dinamica ed in continua esplorazione di nuove possibili chiavi di lettura. Il consenso scientifico non è come quello politico, ma molto più complesso e legato idealmente al raggiungimento della verità. La scoperta di parte della stessa non è sufficiente per la pubblicazione di una teoria (LEGGERE BENE: “teoria” in gergo scientifico è dimostrazione, non semplice ipotesi, ie. la teoria dell’evoluzione di Darwin), e quindi il consenso scientifico si ottiene solamente quando non vi sono più contraddizioni o mancanze nella presentazione delle cause di un fenomeno.
Lo studio delle cause che provocano il cambiamento climatico risale all’inizio del secolo scorso, quando già si evidenziava che la combustione di “2 miliardi di tonnellate di carbone all’anno, unendosi all’ossigeno, aggiungono circa 7 miliardi di tonnellate di anidride carbonica nell’atmosfera”. Lo stesso articolo del 1912 continuava identificando tali emissioni una possibile causa d’innalzamento di temperatura nel giro di qualche secolo. Tralasciando la finestra temporale, la conseguenza ipotizzata la stiamo vivendo ed è quindi importante chiederci cosa possiamo fare per invertire la rotta.
La politica
Ecco finalmente il legame con la politica, la scelta della soluzione. Davanti ad un consesso scientifico che appoggia il legame tra emissioni di anidride carbonica e cambiamento climatico o che non ne propone uno diverso, la politica non può che identificarlo come causa e dare impulso per la soluzione del problema: la transizione energetica. Ai soli fini della politica, la transizione non è importante puramente a fini ambientali, ma anche per ragioni di diversificazione delle forniture e per evitare la dipendenza da fattori esterni come la politica estera di altri paesi.
La divulgazione della cultura e della scienza non deve mai essere ostacolata o censurata sui mezzi di comunicazione. La creatività deve essere libera da fermi, ma non deve essere confusa con i fini della politica. Se quindi uno scienziato presenta dubbi sul legame tra emissioni e cambiamento climatico, non significa che debbano esserci marce indietro da parte della politica. Diversamente, se lo stesso scienziato comincia a proporre pubblicamente dietrofront su riforme ecologiche, rischia di perdere il semplice titolo di scienziato e guadagnare quello di lobbista. La domanda a quel punto infatti diventa: cui prodest? Ossia, a chi giova? In questo caso a coloro che vendono idrocarburi.
Partiti politici come Europa Verde e movimenti ambientalisti come i Fridays for Future si battono da tempo per l’introduzione di riforme contro le emissioni di ogni tipo, dall’anidride carbonica alle inquinanti delle falde acquifere. Non possiamo sapere se coloro che si ammalano, contraggano la malattia dalle polveri sottili, dall’acqua inquinata o altro, ma sappiamo che togliendo tali elementi tossici andiamo a minimizzare il rischio. Allo stesso modo, la riduzione delle emissioni di anidride carbonica non può che essere benefica alla salute del nostro mondo, e non possiamo che essere scettici nei confronti di coloro che neghino la presenza del cambiamento climatico.