Forse è ripetitivo dire che il problema dell’amianto ci riguarda, forse invece non lo si ripete abbastanza.
Da Casale a Broni
È bizzarro come, durante una visita all’AFeVA (Associazione Familiari e Vittime dell’Amianto) di Casale Monferrato, io abbia scoperto l’esistenza della questione-Broni “dove i morti non lasciano memoria storica” scrive Alberto Gaino, l’autore del libro Il silenzio dell’amianto (Rosenberg e Sellier, 2021). Eppure Broni, una cittadina vicino Stradella nell’Oltrepò pavese, mi è anche chilometricamente più vicina del Piemonte, ci sono passata un miliardo di volte con il treno, conosco persone di quella zona, il tema mi interessa… eppure sono cascata dalle nuvole. Ecco, in questa località il tasso di incidenza sulla popolazione maschile di casi di vittime di mesotelioma, il tumore della pleura purtroppo tipico dell’esposizione all’amianto, era nel 2020, secondo il Registro reginale della Lombardia, di 100 casi ogni 100000 abitanti, 68,4 per le donne. Fate voi il conto. 50 decessi l’anno nel 2021 in un comune di circa 9600 abitanti, il tasso di incidenza più alto d’Italia – senza contare i comuni limitrofi. Stradella, la cittadina a fianco, ha un’incidenza di un terzo rispetto a Broni ma ben sopra la media regionale.
Eppure, scrive Gaino, “raramente Broni è stato un problema da attenzione nazionale”.
Sembrava nevicasse
Hanno iniziato a contare le diagnosi da una ventina d’anni, la cifra reale dei morti per amianto dall’apertura della Fibronit è indefinita, solo il mesotelioma pleurico è censito dal 1980 e, anche se è forse la peggiore delle patologie da amianto, non è però l’unica. Sono morti operai ma anche le mogli o le sorelle che lavavano i panni degli operai o chi abitava o lavorava attorno alla fabbrica (se ne racconta anche questo speciale di dieci anni fa del Fatto Quotidiano). Nel 1990 – mentre Casale lottava per ottenere soldi per la bonifica e la tossicità dell’amianto era tanto nota che la famosa legge che lo vietò su scala nazionale è di due anni dopo – a Broni fu l’ultima volta che una tubazione per il trasporto in pressione di amianto dai silos alle tramogge di lavorazione si ruppe e il paese fu inondato di polvere bianca, come se nevicasse.
Fa venire i brividi a pensarci.
Eppure, il bias culturale che pone il lavoro avanti a tutto, perfino alla vita – soprattutto il lavoro in fabbrica, con il suo stipendio sicuro rispetto all’agricoltura pre-boom – è prevalso. La Fibronit ha iniziato a lavorare l’amianto nel 1932 e ha chiuso due anni dopo la legge del 92, nel giugno 1994. “Chiudere la fabbrica non faceva parte della nostra cultura” ha detto l’ex segretario della Camera del Lavoro di Voghera a Bruno Zigoli, autore del libro Sembrava nevicasse, che mette a confronto Casale e Broni. “Una volta non si pensava a quella cosa lì, si pensava a lavorare”, dice Luigino Andreoli ex dipendente Fibronit in questo video, in cui la giornalista azzarda che gli anni di mancate denunce siano stati forse “per ignoranza o paura di perdere l’unica fonte di sviluppo della zona”. Luigi Vecchi di Legambiente ricorda che quando gli ambientalisti hanno iniziato a denunciare la tossicità dell’amianto e quando poi la fabbrica è chiusa, le reazioni degli operai sono state scettiche se non ostili. L’incubazione delle malattie per amianto però è cosa lunga e così, attorno al 2008, qualcosa cambia: iniziano a morire persone che non avevano lavorato alla cementifera – un macabro trend valido anche per il presente. Legambiente, il sindaco e la CGIL per la prima volta si riuniscono in assemblea affrontando il problema a viso aperto presentando un esposto alla procura dopo una raccolta di firme. I morti erano troppi. “Se piangiamo in silenzio non ci ascolta nessuno”, dirà nel 2015 Manuela Gasto, figlia di un operaio e sorella di una vittima, ai microfoni di Milano Pavia on Demand. La bonifica non era ancora stata fatta neanche alla fabbrica, nel 2015. Ad oggi a quello si è provveduto. Un mese fa si parlava di costruire un nuovo liceo – in quello vecchio c’era l’amianto. Dal 2018 in municipio c’è uno sportello amianto che si occupa di informazioni su assistenza medica e legale e sullo smaltimento delle coperture in amianto.
Una questione privata
Ma non c’è solo la fabbrica o gli edifici pubblici: la vicenda di Casale ci insegna come occorra smaltire anche il polverino. Il polverino è uno scarto di lavorazione che sia Eternit che Fibronit davano gratuitamente ai dipendenti per stenderlo su aie, cortili, stradellini… è polvere che uccide, come a Casale racconta Assunta Prato in un libro per educare da subito i bambini e le bambine intitolato Attenti al polverino. Uno dei risultati di Casale riguarda proprio gli incentivi per la bonifica degli spazi privati, mentre fino al 2016 in Lombardia non esisteva una procedura per bonifiche private. Oggi a Broni si parla di bandi per incentivare le bonifiche, nel 2021 si mettevano a bando 300.000 euro per la bonifica dei privati. Per avere un’idea del lavoro, nel febbraio 2021 28459 erano i manufatti contenenti amianto censiti in provincia di Pavia, ma ce ne sono di non denunciati.
Parlando di Broni, sono incappata almeno tre volte in questa storia: una famiglia che, dopo un’inondazione, scopre che la strada privata che porta a casa loro contiene polverino. Questa coppia, con figlio piccolo, si batte per sette anni per la bonifica della via e portarla avanti a proprie spese li fa entrare in causa con altre famiglie con l’affaccio sulla strada, dato che non saldavano la loro parte mostrandosi apertamente ostili all’intera operazione. Quando la famiglia fece i carotaggi sulla strada in questione, trovando molto amianto, alcuni vicini fecero rimostranza al comune. Stiamo parlando di una bonifica a vantaggio della salute di tutti.
“Da una tragedia collettiva o si esce uniti o non si esce” scrive Gaino e sembra doppiare le parole che ho sentito dalla viva voce di Bruno Pesce, segretario della camera del lavoro della CGIL al tempo delle prime lotte a Casale. Se la cittadina del Monferrato si sta dimostrando un “modello di vita dopo l’amianto” (la definizione è di Rosy Battaglia) a Broni c’è ancora molto da fare. Si comincia a parlare adesso di “amianto zero” come obiettivo e di sinergia fra maggioranza e opposizione sulla questione. Queste due esperienze sembrano quasi paradigmatiche e – forse è una mia fissazione – ma non riesco a non pensare che anche su scala globale in fondo – riguardo al Problema dei Problemi, il cambiamento climatico – la polarizzazione sia tra chi sceglie una visione delle cose equa e si attiva perché venga realizzata, a partire da un’idea proiettata verso il futuro dei cambiamenti che occorrono, e il paternalismo falsamente razionale del business as usual, volto a mantenere il business tossico sulla pelle delle persone.
Il problema dell’amianto ci riguarda allora non solo di per sé, ma anche come versione in piccola scala di come i bias culturali umani (del profitto non ne parliamo neppure!) reagiscano davanti al doppio legame fra ecologia ed economia. Il finale è sempre lo stesso: se non si prendono provvedimenti in tempo, si salva il presente ma chi ci rimette è il futuro.