obsolescenza

Negli Stati Uniti, presso la caserma dei pompieri della cittadina di Livermore, è conservata una lampadina che ha del miracoloso. La lampadina in questione è infatti accesa dal 1901, quasi ininterrottamente. Negli anni Settanta infatti fu necessario spegnerla per trasferirla nella nuova sede dei vigili del fuoco e per 23 minuti, prima che fosse riaccesa. La popolazione di Livermore restò con il fiato sospeso, visto che anno dopo anno la lampadina miracolosa è divenuta il simbolo della città. Ovviamente non c’è niente di miracoloso, semplicemente la lampadina di Livermore, sicuramente resistente ben oltre gli standard, fu realizzata prima che le principali aziende produttrici facessero cartello e stabilissero per le lampadine una durata massima di vita, oltre la quale era auspicabile non andare. Era stata concepita l’obsolescenza programmata.

La lampadina dei record fu fabbricata in Ohio alla fine dell’Ottocento e fu donata ai vigili del fuoco nel 1901. In origine aveva una potenza che si stima fosse compresa tra i 30 e i 60 W, ridottasi progressivamente per la naturale sublimazione del filamento agli attuali 4 W. Fu costruita impiegando un filo di carbonio inglobato in un bulbo di vetro soffiato a mano, nel quale era stato praticato il vuoto. Un filamento fatto di carbonio dunque e non di tungsteno, quindi di un materiale teoricamente meno duraturo e resistente. Ora non tutte le lampadine prodotte nel XIX o nel XX secolo erano così longeve, ma molte di esse furono sicuramente più longeve di quelle attuali.

Il cartello delle industrie

Sono stati registrati diversi casi di lampadine sostituite per la prima volta solo dopo la seconda guerra mondiale. Tutto ciò poteva garantire alle aziende produttrici un ritorno di immagine, ma non un vantaggio economico. Ed infatti già nel 1924 era nato il cartello Phoebus, rimasto attivo fino al 1939, che tra i suoi primi atti proibì la commercializzazione di una lampadina già brevettata che si stimava potesse durare ben 100.000 ore. Al cartello appartenevano società  come la General Electric Company, Osram, Philips ed altre, che imposero invece 1.000 ore per la durata massima di ogni lampadina, sebbene come abbiamo visto si potesse andare ben oltre. Tutti i produttori di lampadine finirono per adeguarsi al cartello. C’era sicuramente anche una ragione tecnica, le lampadine a incandescenza tendono nel tempo a perdere luminosità, ma la principale motivazione fu l’intuizione che limitarne la vita significava alimentarne la produzione all’infinito e dunque garantirsi un mercato ricco e protetto.

L’usa e getta

Con l’affermazione nel dopoguerra della società dei consumi l’esperimento Phoebus si estese in maniera silente ad ogni ambito commerciale. L’eccessiva durevolezza non era una qualità auspicabile, il mantra era diventato usare e gettare, così da ricomprare, per poi riusare e rigettare. Oggi l’obsolescenza programmata è di diversa natura, spesso declinata come creazione di nuovi falsi bisogni ed è praticata, più o meno direttamente, da qualunque produttore di qualsiasi cosa su questo pianeta. Ogni bene è soggetto inevitabilmente all’obsolescenza programmata, un’obsolescenza che spinge il consumatore a sostituire un prodotto con un analogo più recente dopo qualche anno di utilizzo, non necessariamente per un guasto o un malfunzionamento ma attraverso qualche altro stratagemma.

Esistono poi chip che bloccano il funzionamento di alcuni prodotti dopo un determinato periodo di tempo o di attività, ad esempio le cartucce per la stampante, se non le stampanti stesse, sono spesso progettate per bloccarsi dopo un certo numero di stampe, anche se, nel caso delle cartucce, contengono ancora inchiostro. D’altra parte Bernard London, il primo a usare l’espressione  obsolescenza programmata, diceva di volerla usare per portare gli Stati Uniti fuori dalla grande depressione.

E’ chiaro a tutti tuttavia che se avessimo risorse e spazi illimitati forse un modello del genere potrebbe funzionare all’infinito, ma le cose evidentemente non stanno così e i nodi purtroppo stanno venendo al pettine, a cominciare dall’enorme impatto ambientale e sociale. La strada potrebbe essere l’ecodesign, cioè un approccio alla progettazione che tenga conto dell’intero ciclo di vita del prodotto, ma anche normative a livello europeo e mondiale più stringenti rispetto a quelle attuali, che obblighino i produttori a standard di durevolezza ben diversi. Non c’è tempo da perdere. Sicuramente tempo non ne perde la nostra lampadina di Livermore, simbolo del fatto che un altro mondo era ed è possibile.

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