nazirock

Mi sono messo a urlare correndo per casa con le braccia alzate. Le figlie impaurite, ma poi hanno capito che era di gioia. Al telefono mi era arrivata una notizia splendida.
Ve la racconto perché la mia esperienza personale può contribuire alla riflessione su una realtà che ci riguarda e di cui bisogna prendere atto: da noi è praticamente impossibile fare informazione indipendente e libera, se in Parlamento non passa finalmente una legge seria sulle cause temerarie, quelle a scopo intimidatorio.
La notizia che mi ha fatto urlare come un tifoso della Curva Sud è che in Cassazione, con sentenza depositata il 3 febbraio del 2022, prima sezione civile, sono tornato innocente.
La mia colpa? Era di aver arrecato grave danno economico a un pluripregiudicato di Forza Nuova, che nel 2011 mi aveva citato in giudizio, chiedendo 25mila euro di risarcimento. Se aggiungiamo le spese legali stiamo parlando di una cifra notevole, che diventa una spada di Damocle paralizzante per chi come me in quegli anni produce e realizza documentari indipendenti, a basso costo, su temi non comodi, come Lega Nord, Berlusconi, sdoganamento politico della destra estrema.

Ci sono voluti più di dieci anni per scostarmi dal collo quella spada.
Il documentario di cui stiamo parlando è Nazirock, distribuito in dvd nel 2008 da Feltrinelli, nella collana Real Cinema, trasmesso più volte da Sky (mai dalla Rai o da una rete generalista). Nel film a un certo punto nel corso di un’adunata Campo d’Azione 2006. Tradizione, formazione, rivoluzione in cui Forza Nuova ha messo insieme diversi gruppi rock, sul palco si esibisce Gigi Guerzoni, leader della band Legittima Offesa, cantante con precedenti per porto abusivo di armi, violenze a pubblico ufficiale, fabbricazione di ordigni esplosivi, discriminazione razziale, rinviato a giudizio per associazione a delinquere, finito in carcere per l’aggressione a uno studente che aveva osato difendere in pubblico i valori della Resistenza.
Il personaggio era interessante perché, malgrado questi precedenti, Forza Nuova lo aveva candidato sia alla Camera, nel 2008, sia alle Comunali, nel 2007.
Cosi gli faccio un’intervista e la monto nel ritratto di questa Woodstock della destra estrema, una specie di festival in cui, organizzati da Forza Nuova, si alternano gli interventi di un condannato per la strage di Bologna, come Luigi Ciavardini, a quelli di nostalgici del nazifascismo provenienti da tutta Europa e perfino dal Libano, con le esibizioni di gruppi rock che inneggiano alla Repubblica di Salò.

Quando Nazirock’ viene distribuito, arrivano minacce e intimidazioni, ci sono librerie che nascondono il dvd di Feltrinelli e sale cinematografiche che cancellano le proiezioni programmate.
In questo clima, il pessimo cantante decide di farmi causa. E’ un noto pregiudicato, ma dice che gli ho rovinato l’immagine, gli ho compromesso la carriera.
Strano, credevo di averlo trattato bene, nel film non vengono citati i suoi gravi precedenti penali, non sono andato a intervistarlo con il dito puntato, volevo solo capire cosa pensa uno come lui. Capire è la chiave, la molla di questo documentario, che nasce dallo stupore di uno che è nato nel 1944, a ridosso della più grande carneficina della storia, provocata e scatenata dal nazifascismo. Nasce dal mio stupore: com’è possibile che tutte ste robacce, le croci celtiche, Salò, la svastica, tornino a esercitare un fascino sulle nuove generazioni, mi chiedevo.

Avevo passato 30 anni nei giornali, prima all’Europeo poi al Corriere della Sera, ero un giornalista in pensione, ho pensato di rendermi utile, di fare volontariato. Correndo anche qualche rischio, perché non è facile filmare i raduni della destra estrema, quando partono i saluti a braccio teso e viene srotolato lo striscione che chiede ‘Più nazifascismo’.
Nazirock nasce cosi, dalla voglia di capire e di raccontare ai giovani, che spesso di quel buco nero nella storia, di quel passato, sanno poco o nulla.
Ma è proprio ai giovani che si rivolge la propaganda dei movimenti della destra estrema in Italia, allo stadio e nei raduni che hanno come colonna sonora un rock rudimentale, dove il
ruolo di leader della band e quello di attivista politico spesso coincidono.

Per questo al mio film bisogna tagliare le gambe, e anche perché i partiti neofascisti hanno due facce, una presentabile da mostrare in pubblico, e una illegale, quella della svastica e del fascio littorio, che viene fuori solo alle loro adunate, dove telecamere e giornalisti non riescono a entrare. Nazirock’ ci è riuscito. Cosi partono le azioni giudiziarie, sei in tutto, senza contare gli appelli, che vengono intentate contro di me a scopo intimidatorio, a volte con pretesti stravaganti, da esponenti di Forza Nuova come di CasaPound.
Perché mi fanno causa, inventandosi stupidaggini, quando sanno già di perdere? Chiaramente perché vogliono sfiancarmi con le spese legali, che mi tocca sostenere e che loro possono permettersi, mentre io no.
Perché loro possono? Perché hanno i soldi, e molti. Alle inquietanti disponibilità finanziarie dei partiti neo-fascisti italiani L’Espresso ha dedicato due inchieste approfondite, nell’aprile e nel novembre del 2017, realizzate con il centro di giornalismo d’inchiesta Irpi e con il supporto del Journalismfund.eu.

La persecuzione nei miei confronti non si dispiega solo sul piano legale, arrivano minacce a me e a chi proietta il film, il mio sito viene distrutto dagli hacker e scopro che online è stata caricata una copia di ‘Nazirock’ con il finale modificato.
Dove ci sono queste immagini dei campi di sterminio, i corpi a montagne, i sopravvissuti che barcollano tra le baracche come fantasmi scarnificati, sulle quali io monto il silenzio assoluto, perché non c’è altro modo di commentare un tale sgomento, loro invece hanno inserito un pezzo dei Negrita, ‘Rotolando verso sud’. Musica allegra e spensierata. Per loro l’Olocausto è una festa.

In mia difesa prendono posizione Articolo 21 e l’Osservatorio Ossigeno per l’informazione, che mi inserisce nella lista dei giornalisti minacciati.
Ma nel maggio del 2015 il Tribunale di Roma, sezione proprietà industriale e intellettuale, decide che ha ragione il cantante. Per la prima volta, e fortunatamente anche l’ultima, vengo condannato: devo versare al pregiudicato, in solido con Feltrinelli, la somma di 15mila euro, più gli interessi maturati, più 4mila euro di spese legali, più altri 4mila euro per quelle sostenute da Feltrinelli (nel contratto che mi ha fatto firmare la casa editrice si è messa al riparo dalle grane legali).

La motivazione della sentenza è sorprendente. Secondo i giudici sono colpevole perché avrei indotto il pubblico a ritenere che il cantante “si faccia portatore di idee violente, anti-democratiche e non rispettose degli altri'”. Stiamo parlando di quello che inneggia alla Repubblica di Salò, mentre in platea issano lo striscione che chiede più nazifascismo. Sembra che non abbiano visto il film. La sentenza continua: “I fatto che fosse candidato alle Politiche del 2008 con la lista Forza Nuova non dimostra la vicinanza al pensiero fascista, in quanto tale associazione politica non sembra conformarsi a una determinata corrente di pensiero ideologico, avendo optato per un rifiuto delle storiche categorie di destra e sinistra”.
Ora, che Forza Nuova sia un partito neofascista lo dice perfino Wikipedia. E i giudici non possono ignorare che Roberto Fiore, latitante a Londra per 19 anni e attuale leader di Forza Nuova, nel 1978 ha fondato Terza Posizione, un movimento neofascista, in cui hanno militato terroristi come Ciavardini e che usava come slogan appunto: “Non siamo né di destra né di sinistra, la nostra è una Terza Posizione.”

Non riesco a crederci, mi sento vittima di una cospirazione. Poi ragiono: no, magari è solo incompetenza, sciatteria. E ricordo una sentenza del Tribunale di Bergamo con cui sono stato assolto, Cinque anni prima, nel 2010. In quel caso a farmi causa era Gianluca lannone, quello di CasaPound (non mi sono fatto mancare nulla, mi ha portato davanti ai giudici anche Roberto Fiore, quello di Forza Nuova). La causa nasce da un’intervista che mi fa L’Europeo (non il magazine in cui ho lavorato, ma il mensile diretto da Daniele Protti). Mi chiedono di raccontare tutto quello che si è scatenato attorno a Nazirock, le minacce ai cinema che lo vogliono programmare e via di seguito. A illustrare il pezzo erano state usate le immagini di un pub, abitualmente frequentato dalle teste rasate di CasaPound. Che si offendono e fanno causa a me e all’Europeo. Tutti sanno che, se rilasci un’intervista a un giornale, non sei responsabile della titolazione o della scelta delle immagini che vengono impaginate, ma loro mi fanno causa lo stesso. Perdono, com’è giusto, ma quando leggo la motivazione della sentenza del Tribunale di Bergamo mi viene un colpo, perché nella motivazione io vengo indicato come il direttore responsabile dell’Europeo. E come tale si, a rischio di essere condannato. E a rischio di dover tornare a giudizio per dimostrare che no, io non sono il direttore dell’Europeo. Che poi uno capisce perché non ci dormi la notte, quando ti capita di entrare in questo tritacarne.

Bene, torniamo al 2015, quando vengo condannato. Decido di dare battaglia, non pago, resisto. E vero, le sentenze vanno rispettate, ma anch’io ho dei principi e in questo caso mi dicono che pagare sarebbe una resa. Barcollo quando, nel giugno del 2016, mi arriva una raccomandata da Feltrinelli, il mio editore, che mi dà 15 giorni per saldare un debito di 25.393,70 euro più interessi. Siccome loro, a differenza di me, hanno pagato il cattivo cantante, adesso li devo rimborsare. Capisco che per loro era impossibile chiudersi in casa e sperare in bene, come ho fatto io, ma ugualmente il colpo è durissimo, perché per me, che sono un ragazzo degli anni Sessanta, Feltrinelli è una bandiera, è la cultura delle battaglie civili e della resistenza ai fascismi.

Incasso e do un’altra mandata alla porta, venissero a prendermi, non pago neanche Feltrinelli. Mi spiace, perché all’editore (soprattutto a Carlo Cresto-Dina, che allora dirigeva la collana Real Cinema) devo essere grato. Non siamo più negli anni Sessanta, Feltrinelli ha comunque il merito di aver pubblicato ‘Nazirock’ e di avergli costruito addosso un libro interessante, ‘Ho il cuore nero’, che ne commenta i contenuti, firmato da Antonio Pennacchi, Furio Colombo e da altri intellettuali esperti in materia.
Sono altri quelli che mi deludono. Penso al silenzio dell’Anpi e dell’Arci, quando vengo condannato. Le sezioni locali di queste associazioni mi hanno chiesto di partecipare alle proiezioni organizzate in tutta Italia, un’infinità, dibattiti interessanti, gente bellissima. Poi, quando ci sarebbe da dire una parola di sostegno da parte dei vertici, neanche un cenno.
E ricordo Massimo Rendina, un partigiano vero, che ha fatto la Resistenza, presidente dellľ’Anpi Lazio, che quando vede il film mi chiama entusiasta: “Facciamo subito una proiezione alla Casa della Memoria e della Storia”. Proiezione che non si farà mai, perché la Casa è un’istituzione del Comune di Roma e in quel momento è sindaco Gianni Alemanno.

‘Nazirock’ ha vita difficile anche in televisione. Viene programmato diverse volte su Sky, da Current Tv, il canale di Al Gore, mai da una rete generalista, a differenza di ‘Camicie verdi’, il mio precedente documentario, che va in onda su La7, film più dibattito.
Forse ciò che lo rende indigesto è il riferimento alle nuove possibili forme di autoritarismo, con quelle immagini che stranamente si vedono solo nel mio piccolo documentario, di Berlusconi che, alla trionfale manifestazione del 2006 contro Prodi e la finanziaria, accarezza la bandiera della Fiamma tricolore, il partito di Luca Romagnoli, presente sul palco accanto a lui, uno che “forse le camere a gas non sono mai esistite”, mentre Gianfranco Fini declama: “Il capolavoro politico di Silvio Berlusconi è stato di sdoganare non solo noi, ma quelli che stanno a destra di Alleanza nazionale”.
Era una manifestazione impressionante, a piazza San Giovanni, “Siamo in due milioni”, gridava il mancato candidato alla centinaia di giornalisti e commentatori. Avessi letto il giorno dopo una riga su quello sdoganamento, cosi plateale e pericoloso.
Con questo senso un po’ cosi, diciamo di solitudine, ho attraversato i dieci anni di questa storia giudiziaria.

Fortunatamente a tirarmi fuori dai guai è intervenuto un giovane avvocato romano, Andrea Sangiorgio, che ha capito subito come in ballo non ci fosse solo una causa civile ma una causa di civiltà e si è impegnato con tutte le sue forze. Mi ha fatto vincere in appello e adesso in Cassazione. Restituendomi la serenità, ma non la fiducia nella giustizia.
Dieci anni di attesa sono troppi, vivi con l’ansia. E con le leggi vigenti chi ha denaro da spendere, se gli dai fastidio, può bombardarti con procedimenti giudiziari pretestuosi. Ripeto, per lui le spese legali non sono un problema, per te sono un bagno di sangue.
C’è un disegno di legge, del senatore Primo Di Nicola, un ex giornalista, che vuole introdurre una penale per chi cita in giudizio a scopo intimidatorio, senza solidi motivi. Ma questa legge non riesce a passare.

Adesso, ragionando un attimo, in Italia già non esiste una legge sul conflitto d’interessi, quindi mezzi d’informazione subisce il peso di poteri che a volte non hanno tra le loro priorità quel tipo d’informazione, veramente libera, che è il sale della democrazia.
Sarebbe quindi fondamentale la possibilità, per giornalisti indipendenti, d’indagare e raccontare stando fuori dai grandi gruppi editoriali. Ma questa possibilità non esiste – l’ho sperimentato sulla mia pelle se non si fa una legge capace di scoraggiare queste cause in malafede, che nel linguaggio giuridico vengono definite ‘temerarie. E arroganti aggiungerei, perché sono l’espressione di un potere che può schiacciare impunemente ogni voce libera.
Non ci vuole molto a capirlo, è una cosa semplice, semplice, ma il Parlamento italiano non ci arriva. Forse è arrivato il momento di metterci assieme, in tanti, e di chiedergli il perché.

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Claudio Lazzaro è un giornalista e regista italiano. Inizia nel 1972 scrivendo di economia sul settimanale Tempo, entra nella redazione del settimanale L'Europeo, dove impara il mestiere lavorando con Oriana Fallaci, Alberto Ongaro, Massimo Fini, Ferdinando Scianna e altre firme della testata del gruppo Rizzoli. Muore Alexandros Panagulis, l'eroe nazionale greco, compagno di Oriana Fallaci. Lei è convinta che l'incidente automobilistico in cui ha perso la vita sia un assassinio mascherato. Con Lazzaro si reca ad Atene per trovare le prove. Dopo una ricerca avventurosa l'inchiesta viene scritta a quattro mani, ma la Fallaci, troppo coinvolta, preferisce non apparire. Il pezzo esce sull'Europeo con la sola firma di Lazzaro. Collabora ad altri periodici, come i mensili Prima Comunicazione, Media Production, Max, Ciak, Moda, King, Ulisse 2000. Quando nel 1995 L'Europeo chiude, per poi trasformarsi in periodico mensile, Lazzaro passa al Corriere della Sera, in cronaca e agli esteri (inviato di guerra in Kosovo e Iraq) Nel 2005, dopo dieci anni al Corriere della Sera, si dimette e costituisce una società, la Nobu Productions, per realizzare documentari a basso costo, sfruttando la potenzialità delle nuove tecnologie e i nuovi canali distributivi indipendenti. Camicie verdi - Bruciare il tricorole, il suo primo documentario, è un viaggio all’interno della Lega Nord nella sua fase iniziale, eversiva e xenofoba. Esce quando la Lega era al potere, due mesi prima del voto sulla c.d. devolution (secondo referendum di revisione costituzionale della Repubblica Italiana, che prevedeva la riorganizzazione dello Stato su base formalmente federale). Nazirock - Come sdoganare la svastica e i saluti romani, il suo secondo documentario, distribuito in DVD nel 2008 da Feltrinelli Real Cinema, racconta l'estrema destra italiana e il suo sdoganamento durante i governi Berlusconi. È la prima opera di giornalismo d'inchiesta che mostra dall'interno il rapporto tra i giovani dal “cuore nero” e la musica cosiddetta identitaria, utilizzata come strumento di proselitismo politico da Forza Nuova e da altri gruppi della destra estrema. Il film viene duramente boicottato dalla destra neofascista. L’autore e i cinema che mettono Nazirock in cartellone ricevono minacce. Molte proiezioni vengono cancellate. Alcune librerie non espongono il dvd negli scaffali per timore di rappresaglie. Il regista deve difendersi in sei diversi procedimenti giudiziari, a seguito delle denunce di personaggi della destra estrema che a vario titolo si ritengono diffamati o danneggiati dal suo documentario. Contro i procedimenti giudiziari nei confronti di Nazirock ha preso posizione Articolo 21, l’associazione di giornalisti, giuristi, economisti e personaggi della cultura che difendono la libertà di manifestazione del pensiero. Claudio Lazzaro è stato inserito nella lista delle vittime da Ossigeno per l’informazione, l’associazione che gestisce l’Osservatorio sui giornalisti minacciati, patrocinato dalla Federazione Nazionale della Stampa e dall’Ordine dei Giornalisti. Bandiera viola, realizzato come la terza tappa di un viaggio nelle nuove destre, racconta il berlusconismo attraverso la cronaca della manifestazione autoconvocata in rete, No Berlusconi Day, che il 5 dicembre 2009 ha portato in piazza, a Roma, un milione di persone. A convocarle, per la prima volta, non sono i partiti o i sindacati, che anzi vengono cacciati dal corteo e da Piazza San Giovanni, ma un anonimo blogger su internet. È la prima manifestazione di massa autoconvocata in rete. Ad accorrere è Il Popolo Viola, anticipazione del Movimento 5 Stelle. Nel luglio 2010 il film era pronto per la distribuzione. Ma il 2 ottobre, a Roma, questa volta con l’appoggio delle opposizioni, viene convocata una seconda manifestazione viola contro Berlusconi, il No B Day 2. Per sostenere l’iniziativa l’autore decide di mettere il film online gratuitamente, il 27 settembre. Il No B Day 2 replica in parte il successo della prima manifestazione: a Roma in Piazza San Giovanni ci sono, secondo gli organizzatori, 500.000 persone. Sul palco, dopo la proiezione di alcuni spezzoni di Bandiera viola, Claudio Lazzaro espone ai manifestanti la sua idea di libertà d’informazione.

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