“La sostenibilità dei prodotti deve essere la norma e non una eccezione”: questo l’obiettivo delle proposte presentate dalla Commissione Europea nell’ambito del Green Deal. Entro il 2030 la maggior parte dei i beni fisici prodotti e venduti sul mercato dell’Unione Europea (indifferentemente da dove siano fabbricati) dovranno essere meno dannosi per l’ambiente, “circolari” ed “efficienti” in tutto il loro ciclo di vita.
Una delle proposte mira a combattere l’economia dello spreco nell’ambito del tessile e dell’abbigliamento; il ‘fast fashion‘, così chiamato in riferimento alla velocità con cui i prodotti di abbigliamento vengono fabbricati e immessi sul mercato, ha come riscontro negativo la rapida distruzione dell’invenduto, che va al macero. La moda usa e getta con la produzione di rifiuti tessili e la distruzione dei prodotti invenduti, farà spazio a prodotti tessili più durevoli, riparabili, riutilizzabili e riciclabili.
Gli sprechi della moda
Il vicepresidente con delega al Green Deal Frans Timmermans ha dichiarato che, in media e secondo le statistiche della UE, un cittadino europeo butta via 11 kg all’anno di vestiti e simili. Inoltre un camion di vestiti al secondo finisce in discarica o trattato in un inceneritore.
Il settore del tessile e abbigliamento è il terzo in assoluto per consumo di acqua e suolo e il quinto per utilizzo di materie prime ed emissioni di gas serra; a livello globale la produzione, tra il 2000 e il 2015, è quasi raddoppiata e si stima che il consumo di vestiti e calzature dovrebbe aumentare del 63% entro il 2030.
La Cina è il principale esportatore globale di abbigliamento, con oltre un terzo delle esportazioni mondiali e la produzione di 70000 tonnellate di scarti di abbigliamento al giorno, mentre in Europa il numero di aziende del settore è diminuito nel decennio 2009-2019; la produzione del poliestere, che utilizza idrocarburi e non è biodegradabile, è considerata dannosa e inquinante.
La proposta della UE
Oltre alla sostenibilità ed alla circolarità del settore tessile, da attuare con prodotti tessili più durevoli, riparabili, riutilizzabili, riciclabili, e privi di sostanze pericolose, si dovrà garantire che la produzione in questo settore avvenga nel pieno rispetto dei diritti dei lavoratori.
La Commissione Europea in una nota afferma che “i consumatori beneficeranno più a lungo di prodotti tessili di alta qualità ed il ‘fast fashion’ andrà fuori moda lasciando spazio a servizi di riutilizzo e riparazione economicamente vantaggiosi”.
Le imprese tessili sono invitate “a ridurre il numero di collezioni per anno, ad assumersi le proprie responsabilità e ad agire per ridurre al minimo l’impatto ambientale” e gli Stati membri dovranno adottare misure fiscali atte ad incentivare il riuso e le riparazioni.
Altre proposte
Per assicurare certezza legale per gli operatori commerciali e facilitare l’applicazione della legge dei casi relativi al greenwashing, l’ambientalismo fittizio spesso usato nelle strategie di marketing delle aziende per darsi una patina di verde, e all’obsolescenza precoce dei prodotti, la Commissione propone modifiche alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali.
La lista delle caratteristiche del prodotto sulle quali un produttore non può ingannare i consumatori è ampliata con l’aggiunta di nuove pratiche vietate:
- non informare sulle caratteristiche introdotte per limitare la durata del prodotto, come un software che ferma o declassa la funzionalità del bene dopo un determinato periodo di tempo;
- fare affermazioni ambientali generiche e vaghe quando non è possibile dimostrare la prestazione ambientale del prodotto o del produttore;
- fare un claim ambientale sull’intero prodotto, quando in realtà riguarda solo un certo aspetto di questo;
- esporre un’etichetta di sostenibilità volontaria che non si basa su un sistema di verifica di terzi o stabilito dalle autorità pubbliche;
- non informare che un bene ha una funzionalità limitata quando si utilizzano materiali di consumo, pezzi di ricambio o accessori non forniti dal produttore originale.