Il 23 marzo il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha incaricato l’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM) di mettere a punto entro cinque anni un sistema d’allerta globale per le catastrofi naturali.
Una conseguenza della crisi climatica
Gli eventi estremi sono sempre più frequenti a causa della crisi climatica, ma grazie ad allerte tempestive ed efficaci, si possono evacuare decine di migliaia di persone, riducendo sensibilmente il numero di morti – perché di questo si parla – derivanti da catastrofi naturali sempre più intense: dovute, in ogni parte del mondo, a cambiamenti climatici ed atmosferici derivanti dall’inquinamento.
Per quanto un sistema d’allarme globale non sia abbastanza all’interno di una visione di “lotta al cambiamento climatico”, si innesta però perfettamente nella visione, ormai imprescindibile, dell’“adattamento al cambiamento climatico”.
Se ormai siamo decisamente in ritardo sui tempi, come ci ricordano costantemente i rapporti dell’IPCC (Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico), siamo ancora in tempo per adottare strategie globali di messa in sicurezza, mitigazione e aiuto umanitario.
Paesi diversi, impatti diversi
Per questo le Nazioni Unite, assieme all’Organizzazione Meteorologica Mondiale, contano di rendere disponibili ai “Paesi in via di sviluppo”, entro i prossimi cinque anni, sistemi di allerta già utilizzati da molti dei paesi ricchi ed occidentali.
Infatti, le differenze situazionali all’atto pratico risultano evidenti, raffrontando eventi simili.
L’uragano Ida nel 2021 ha colpito la Louisiana, ed è stata la quinta tempesta più forte degli Stati Uniti continentali. Grazie a previsioni e avvertimenti efficaci, decine di migliaia di persone sono state fatte evacuare e i morti complessivi sono stati meno di un centinaio.
In Africa Meridionale invece, nel 2019 si è abbattuto il ciclone Idai, ma la difficoltà di diffusione delle informazioni, soprattutto in zone rurali, ha contribuito a determinare circa un migliaio di morti in Mozambico, Malawi e Zimbabwe e altri milioni di persone con costante necessità di assistenza umanitaria.
La strategia dell’ONU
Il segretario generale dell’Onu ha affermato che ad oggi “1/3 della popolazione mondiale, principalmente nei Paesi meno sviluppati e nei piccoli Stati insulari in via di sviluppo, non è ancora coperta da sistemi di allerta precoce. Nel continente Africano, fino al 60% della popolazione non ha copertura di sistemi d’allerta”.
Considerando che il continente Africano, il subcontinente Indiano e la maggior parte dei paesi con carenze sistemiche simili alle sopra citate, saranno anche i territori maggiormente colpiti dalla crisi climatica (senza per altro aver influito o quasi sull’inquinamento atmosferico), la risposta al problema deve arrivare da occidente: quello programmato dall’ONU in collaborazione con l’OMM è un primo passo importante, ma sicuramente sarà necessaria una reale strategia globale di adattamento e aiuto a lungo termine.