L'Amazzonia ha un altro nemico: la moda

L’industria della moda e l’impatto sull’ambiente

Può la deforestazione in Amazzonia dipendere dai grandi marchi della moda? La domanda potrebbe sembrare complicata proprio perché la sua risposta comporta una riflessione profonda sul futuro di quel che resta del più grande polmone verde del Pianeta.

La foresta amazzonica sta diminuendo ad un ritmo incontrollato e le cause sono molteplici. Tra queste una delle principiali responsabili della massiccia deforestazione è la produzione di abiti, borse, scarpe. La moda, soprattutto il settore fast fashion, è una minaccia costante per l’ambiente e di conseguenza per l’uomo. Non esiste possibilità di una svolta sostenibile del settore soprattutto se si continua a produrre enormi quantità di capi a basso costo. Il ricorso a materiali sintetici, come per esempio il poliestere, che permette di mantenere bassi i prezzi, ha un altro lato della medaglia: l’impatto sul Pianeta. Il costo contenuto spinge il consumatore finale ad acquistare sempre di più, alimentando così l’utilizzo dei combustibili fossili ai quali si fa ricorso durante i processi di produzione delle fibre sintetiche. Maggiore è la domanda, maggiore deve essere l’offerta in grado di soddisfarla, ma ciò comporta anche un aumento nella produzione di rifiuti e il ricorso a fonti inquinanti che sono tutt’altro che sostenibili, come non lo è l’intera industria della moda.

L’Amazzonia nel mirino delle grandi aziende del bestiame

L’enorme quantità di indumenti che nessuno indossa più ammassati nel deserto dell’Atacama sono il risultato del consumismo esasperato al quale siamo indotti, ma quello che più difficilmente si riesce a comprendere è ciò che sta a monte del processo. Da dove arrivano quegli indumenti, da cosa sono nati e qual è il costo che ognuno di noi pagherà realmente, non solo in termini prettamente economici, ma anche in distruzione ambientale?

Ecco che torna utile trovare una risposta alla domanda in apertura: cosa ha a che fare la deforestazione dell’Amazzonia con la moda?

Secondo uno studio di Stand.earth, un’organizzazione internazionale che prova a sensibilizzare governi e multinazionali ad anteporre l’ambiente e le persone davanti al progresso sconsiderato e al profitto, i grandi marchi come Prada, H&M, Montblanc, Zara, Tommy Hilfiger, Fendi, Timberland e molti altri stanno contribuendo al disboscamento dell’Amazzonia. Secondo la ricerca intitolata “Nowhere to Hide” l’industria del bestiame è la prima responsabile dell’abbattimento di migliaia di alberi della foresta pluviale amazzonica e delle foreste a livello globale, con il fine di aumentare gli spazi dedicati agli allevamenti intensivi utilizzati per far fronte alla domanda di carne bovina e pelle. “La pelle brasiliana viene utilizzata da concerie e produttori di tutto il mondo per realizzare innumerevoli prodotti di marca rivolti al consumatore, tra cui calzature e prodotti di moda di fascia alta”, questo si legge tra le prime righe del rapporto e andando oltre, grazie all’esame di moltissimi documenti doganali, si possono vedere le connessioni di diversi marchi famosi e meno conosciuti con i fornitori internazionali che si occupano del commercio di pellame.

Secondo lo studio la deforestazione causata dall’allevamento di bestiame nella foresta amazzonica rappresenta il 2% delle emissioni globali annuali di CO2, l’equivalente delle emissioni di tutti i voli aerei globali.

In aggiunta a ciò, il report di Stand.earth evidenzia alcune importanti considerazioni: il Brasile ha la mandria di bovini più grande al mondo, quasi 215 milioni di animali; l’80% della pelle bovina prodotta in Brasile è utilizzata per l’esportazione; l’industria del pellame è una fonte di guadagno notevole, basti pensare che nel solo 2020 i guadagni dei macelli si aggirano attorno a circa un miliardo di dollari Usa; infine, la maggior parte dei lavori di deforestazione sono condotti illegalmente.

Secondo moltissime indagini e studi la società JBF, la più grande industria di manzo e pellame, è la maggiore responsabile della distruzione dell’Amazzonia. Nell’ultimo decennio le catene di approvvigionamento della JBF hanno causato la deforestazione di oltre 3 milioni di ettari di foresta pluviale, molti dei quali illegalmente, come illegali sono i pascoli all’interno di aree protette, per esempio nella Riserva del Rio Ouro Preto, nella Riserva del Rio Jacy – Paranà e nei territori indigeni della comunità Uru-Eu-Wau-Wau. Di conseguenza, si legge nel rapporto, qualunque azienda si rifornisca direttamente o indirettamente dalla JBF è responsabile della deforestazione in Amazzonia. Tuttavia questa non è l’unica compagnia a contribuire alla distruzione del polmone verde del Pianeta.

L’indagine ha evidenziato anche il percorso che il pellame compie dalle concerie brasiliane alle industrie di lavorazione intermedie prima di essere immesso sul mercato e dando uno sguardo agli importatori principali, al secondo posto, dopo la Cina, c’è l’Italia con una percentuale di importazione pari al 27,3%.

La ricerca ha posto l’accento non solo sulla distruzione ambientale, ma anche sulle violazioni perpetrate ai danni delle popolazioni indigene che nella foresta amazzonica vivono e da essa dipendono, individuando diversi brand che hanno una o più connessioni con le catene di rifornimento del pellame che operano indiscriminatamente in Brasile. I legami con JBF, Minerva, Fuga Couros o altre compagnie che esportano pelli e carni non sono prove che quel determinato brand utilizzi pellame derivante dalla deforestazione, ma le connessioni sono la dimostrazione che quei marchi corrono il rischio di incentivare la distruzione del nostro polmone verde e delle popolazioni che lo abitano.

E questo riguarda tutti noi!

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