Cop26: fatti e promesse dalla

I temi sul tavolo delle negoziazioni

Dopo una lunga attesa – prolungata dal diffondersi della pandemia di Covid-19 – il 31 ottobre ha finalmente avuto inizio la Cop26 di Glasgow, la conferenza annuale dell’Onu sul clima che dal 1995 vede riunirsi le parti contraenti che hanno aderito agli accordi stipulati a Rio nel 1992.

Quella di quest’anno, in particolare, concentra su di sé aspettative e speranze di milioni di attivisti di tutto il mondo e, dopo l’allarmante scenario emerso dall’ultimo rapporto dell’Ipcc, rappresenta probabilmente la nostra ultima occasione per invertire una rotta che altrimenti – ce lo dice la scienza – non potrà far altro che condurci alla distruzione del Pianeta.

La precedente Conferenza, tenutasi a Madrid nel 2019, si era conclusa con un sostanziale fallimento: lunghe negoziazioni, ma nessun accordo sul tema dei mercati di carbonio, rimandato all’appuntamento scozzese.

Oggi i temi caldi sul tavolo delle trattative sono tanti: decarbonizzazione, taglio delle emissioni, energie rinnovabili, giustizia climatica, deforestazione e tutti richiedono una risposta non solo immediata, ma collettiva ed equa; un lavoro sinergico che sappia tener conto delle differenze in termini economici che separano i Paesi più ricchi da quelli più poveri, il cui impatto sul clima è peraltro di molto inferiore a quello delle economie più sviluppate. Per fare questo i singoli Paesi sono chiamati a riformulare il cosiddetto Nationally Determined Contribution, il piano nazionale sulla riduzione delle proprie emissioni che ogni Paese firmatario dell’Accordo di Parigi ha dovuto redigere per indicare i propri obiettivi di riduzione delle emissioni. Bisogna fare di più e bisogna farlo ora.

Piovono promesse

A parole i nostri leader si dichiarano pronti ad agire. Il giorno di apertura della Cop26 è stato un susseguirsi di promesse. Boris Johnson, durante la cerimonia di apertura, insiste sull’urgenza di agire immediatamente per fermare il surriscaldamento globale entro la soglia di 1,5 gradi, parla di future generazioni e della responsabilità che i potenti del mondo hanno nei loro confronti, del rischio che un fallimento della Cop possa generare “ondate di collera” nel mondo. Il Presidente cinese Xi Jinping, nella dichiarazione scritta inviata a Glasgow, invita le parti “a intraprendere azioni più forti per affrontare insieme la sfida climatica”, Mario Draghi insiste sull’importanza di un impegno comune, unica via per combattere la crisi climatica, tenendo anche conto che le emissioni sono velocemente tornate oltre i livelli pre-Covid.

La lista delle promesse e delle dichiarazioni di intenti potrebbe dilungarsi ben oltre, ma vale la pena sottolineare che di dichiarazioni di buoni propositi ne erano state fatte tante anche prima del G20 di Roma, che si è rivelato invece l’ennesimo buco nell’acqua, l’ennesimo bla, bla, bla che non ha segnato alcun passo in avanti nella lotta alla crisi climatica e si è concluso con niente altro che un riconoscimento della validità scientifica di limitare il riscaldamento globale entro 1,5 gradi, senza alcuna indicazione sul come e quando questo obiettivo debba essere raggiunto.

Il rischio è che la Conferenza sul clima si trasformi in una replica di quanto accaduto a Roma. Intanto nelle vie della città si susseguono le proteste degli attivisti arrivati da tutto il mondo; fuori dalla sala dove si stanno svolgendo i lavori della Cop ha preso la parola Greta Thunberg, che ancora una volta si è scagliata contro le chiacchiere dei leader mondiali: “i veri leader non sono là dentro, i veri leader siamo noi”, ha affermato l’attivista dei Fridays For Future, che ha ribadito la necessità di continuare a fare pressione del basso per smuovere i politici e per obbligarli ad inserire il clima tra le proprie priorità, smettendola di fare annunci che non trovano alcun riscontro nella realtà o che non rappresentano soluzioni al problema.

Il finto impegno in tema deforestazione

È sufficiente pensare a quanto è stato deciso sul tema della deforestazione. Lunedì sera, con il plauso generale, più di 100 leader mondiali – i cui Paesi ospitano l’85% delle foreste presenti sul nostro Pianeta – hanno firmato un accordo che prevede lo stop alla deforestazione entro il 2030. Molto bene, si potrebbe dire, il problema è che – come accade quasi sempre – si tratta di obiettivi non solo pensati troppo a lungo termine, ma anche vaghi, non vincolanti e senza alcuna conseguenza per chi non li rispetta. Tanto che persino il Presidente brasiliano, Jair Bolsonaro – le cui azioni contro la foresta amazzonica e i popoli indigeni sono tristemente note – firma questo impegno/non impegno, conscio di poter continuare con le proprie politiche di devastazione ambientale senza particolari sanzioni e senza alcuna ripercussione in termini economici che, ad esempio, un divieto sull’importazione di prodotti frutto di deforestazione avrebbe rappresentato.

In attesa di impegni concreti

Oggi, durante la quarta giornata della Conferenza, si discute di energia pulita. “Il 90% dei Paesi del mondo ha ora un obiettivo zero emissioni. Quando il Regno Unito ha preso la presidenza della Cop26 era il 30%” ha dichiarato con soddisfazione Alok Sharma, Presidente della Conferenza.

La vera domanda è: in cosa concretamente si tradurrà questo impegno? Perché se il trend è quello emerso dall’accordo sulla deforestazione o dal G20 forse è il caso di iniziare a preoccuparsi.

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