Gli effetti della crisi climatica in tutto il mondo
Non solo alluvioni, purtroppo, a dirci che il pianeta è in piena crisi climatica. Mentre la Germania fa i conti con l’alluvione che ha devastato il Nord Reno Vestfalia e la Renania Palatinato causando 170 vittime e danni per ora stimati intorno ai 4-5 miliardi di euro e la Cina si ritrova a far fronte ad una situazione analoga che ha investito la provincia dell’Henan, uccidendo decine di abitanti, la Siberia brucia.
Temperature che aumentano di 2,5 volte più velocemente rispetto al resto del pianeta
Incendi senza precedenti si sono infatti diffusi in una taiga resa sempre più secca da un aumento delle temperature, che già tra gennaio e giugno dello scorso anno, nell’area orientale della Siberia, si sono mediamente attestate su 5 gradi in più rispetto alla media registrata in questa regione. La situazione è ulteriormente peggiorata a partire dalla primavera appena passata e ha mostrato i suoi effetti più pericolosi a Yakutsk, capitale della Repubblica di Sakha – nella Russia nord orientale – e tra le città più fredde al mondo, che ha visto le temperature estive aumentare di 2,5 volte più velocemente rispetto al resto del pianeta.
1,5 milioni di ettari di terreno distrutti e la minaccia di una nube tossica
Proprio Yakutsk risulta tra le aree più minacciate dal terribile incendio che ha già portato alla distruzione di 1,5 milioni di ettari di terreno nel Nord-Est della Siberia e che attualmente sta minacciando più di 50 insediamenti con la sua nube di fumo tossico.
Secondo quanto rilevato dai satelliti, i livelli di PM 2,5 – che come sappiamo causano enormi danni non solo all’ambiente ma anche alla salute umana – hanno superato i 1.000 microgrammi per metro cubo, una quantità 40 volte superiore rispetto al limite previsto dall’Organizzazione Mondiale delle Sanità e gli esperti parlano già di questo come uno degli eventi più inquinanti al mondo.
Per fronteggiare la situazione è stato dato vita alla più grande operazione nell’area dai tempi dell’Unione Sovietica: oltre 2.000 uomini sono stati inviati sul posto per cercare di spegnere gli incendi che, secondo quanto riferito dal ministro per le emergenze della regione, sono ormai 250 e riguardano un’area di 5.720 chilometri quadrati.
Numerosi anche i cittadini che si sono volontariamente uniti alle squadre di vigili del fuoco per portare il loro aiuto.
“Sono arrivati i soccorritori e anche gli abitanti dei villaggi stanno combattendo contro gli incendi ma non possono fermarli. Tutto è in fiamme” ha dichiarato telefonicamente al The Guardian Varvara, un pensionato di Teyrut, un villaggio nel distretto di Oymyakonsky dove gli abitanti, una volta compresi i rischi creati dagli incendi, hanno deciso di allontanare tutti i bambini della comunità.
Cosa stiamo aspettando?
E subito riaffiora alla mente il ricordo delle terribili immagini degli incendi che nel 2019 hanno devastato per mesi l’Australia, causando la perdita di 19 milioni di ettari di foreste e l’emissione di 900 milioni di tonnellate di Co2. Perché il dramma di episodi come questo, o come quello australiano, è che si tratta di avvenimenti causati dal surriscaldamento globale, dall’innalzamento delle temperature e da tutto quello che ne consegue in termini di siccità, ma che a loro volta diventano essi stessi responsabili di ulteriori emissioni e ulteriore inquinamento che andrà a peggiorare quella situazione di emergenza che ne ha determinato l’esplosione.
Appena poche settimane fa è circolata una bozza dell’ultimo rapporto dell’Ipcc, che verrà verosimilmente pubblicato nella sua interezza a febbraio del 2022, nella quale veniva dipinto un quadro sconcertante di quello che ci attenderà nei prossimi decenni se non saremo in grado di contenere l’innalzamento delle temperature entro i 2 gradi e se quello che stiamo osservando in queste settimane ne è soltanto l’anticipazione, sorge spontanea la domanda: cosa stiamo ancora aspettando?