Come il mondo della moda

Sempre più capi di abbigliamento immessi sul mercato

È tempo di saldi e, come ogni anno, per molti questo significa innanzitutto corsa all’acquisto di nuovi capi di abbigliamento. Quella maglia che avevamo visto in vetrina o quel vestito che ci piaceva tanto e che aspettavamo solo che venisse scontato. Comprare nuovi indumenti è un gesto ormai abitudinario, banale ma vi siete mai chiesti quale impatto hanno sull’ambiente tutti quei capi di abbigliamento che invadono il mercato della moda?

A fare una stima ci ha pensato Changing Markets Foundation, che nel report “Fossil fashion. The hidden reliance of fast fashion on fossil fuels” ha analizzato l’impatto ambientale del mondo della moda.

Partiamo da un dato che ci dice come dall’inizio del secolo il volume dei capi di abbigliamento prodotti è raddoppiato ed è destinato a crescere ulteriormente, portando le 62 milioni di tonnellate prodotte nel 2015 a diventare circa 102 milioni di tonnellate entro il 2030.

Le fibre sintetiche hanno rivoluzionato (in peggio) il mondo della moda

A rendere possibile un aumento di produzione così massiccio è stato l’avvento delle fibre sintetiche, prima tra tutte il poliestere, ma anche il nylon, l’acrilico e l’elastane; tutti materiali a basso costo che si ottengono dalla lavorazione di combustibili fossili. Questi materiali consentono – anche grazie, o per meglio dire a causa, di sistemi produttivi tanto rapidi quanto iniqui nei confronti dei lavoratori, come denunciato dalla ong Labour behind the label – di immettere sul mercato quantità crescenti di capi di abbigliamento, modificando radicalmente anche il modo di acquistare dei consumatori. Il costo contenuto offerto soprattutto da molte catene consente di comprare di più, a scapito della qualità ma soprattutto dell’ambiente. Oggi noi acquistiamo il 60% di vestiti in più rispetto a 15 anni fa, ma finiamo con l’utilizzarli la metà del necessario; solo nel 2015 il 73% dei tessuti prodotti in breve tempo è finito in discarica o negli inceneritori.

L’impatto sull’ambiente

Le tonnellate di rifiuti prodotti finiscono, nel caso delle discariche, col degradarsi andando a rilasciare sostanze inquinanti nel terreno e metano nell’atmosfera, mentre, nel caso degli inceneritori, col rilasciare nell’aria nuove emissioni che contengono metalli pesanti, diossine, gas acidi e particolato dannosi per la salute non solo del pianeta ma anche nostra.

Ma non è tutto, perché le fibre sintetiche, che compongono ormai in prevalenza gli indumenti che indossiamo, non costituiscono un pericolo per l’ambiente soltanto quando si trasformano in rifiuti. Quando indossiamo un indumento fatto di questi materiali, questo rilascia microplastiche e lo stesso vale quando lo laviamo; ogni anno mezzo milione di tonnellate di microfibre finiscono negli oceani, in pratica l’equivalente di 50 miliardi di bottiglie di plastica.

Queste sostanze” ha spiegato Urska Trunk, campaign manager di Changing Markets Foundation “finiscono negli oceani, sono presenti nell’aria che respiriamo e nel cibo che mangiamo. E la situazione è destinata a peggiorare se l’industria della moda non smetterà di basare il proprio business sull’utilizzo di queste materie prime”.

L’industria della moda tra le più inquinanti al mondo

Ad oggi poco o nulla è stato fatto, a dispetto dell’immagine di sostenibilità che molti marchi stando cercando di dare di sé, come dimostra un recente studio condotto dagli analisti di mercato di Edited, che hanno portato alla luce come gli articoli riconosciuti come sostenibili rappresentino solo il 3% di quelli disponibile sul mercato online di Stati Uniti e Gran Bretagna.

Il dato di fatto è che, allo stato attuale, l’industria della moda rappresenta uno dei settori produttivi più inquinanti al mondo, arrivando a consumare da sola più energia di quanta ne consumino il settore aereo e quello navale messi insieme. Di questo passo, ci dicono i ricercatori dell’Agenzia europea dell’ambiente, il mondo della moda arriverà ad essere responsabile del 25% delle emissioni globali entro il 2050, finendo col costituire una seria minaccia per il rispetto dell’Accordo di Parigi.

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