I cambiamenti climatici mettono in pericolo la foresta di Kirisia
La foresta di Kirisia sorge nel Kenya centro-settentrionale; circondata da tutti i lati da terra arida, questa foresta costituisce l’unica fonte di acqua affidabile per quasi 150.000 persone che vivono all’interno di quell’area, oltre che per numerose specie animali come elefanti, zebre e giraffe Masai.
Da qualche anno la foresta è messa a repentaglio dai cambiamenti climatici, le cui conseguenze pesano tanto sul suo ecosistema, quanto sugli abitanti dell’area, in larga parte appartenenti al popolo dei Samburu.
Dal 1985 al 2015, infatti, le temperature medie del Kenya sono aumentate mediamente di 1,8 gradi Fahrenheit, con un peggioramento che riguarda in particolare le aree aride e semi-aride nel Nord, con stagione delle piogge sempre più brevi e inaffidabili ed eventi di pioggia intensa sempre più improvvisi e frequenti.
Il surriscaldamento, combinato con una pressione demografica in costante crescita, sta mettendo a dura prova le foreste montane del Kenya settentrionale, conosciute come “water towers” proprio per la loro capacità di immagazzinare acqua durante la stagione delle piogge e rilasciarla lentamente durante i periodi di siccità e sta inevitabilmente avendo un riflesso negativo anche sui Samburu.
Le conseguenze sul popolo dei Samburu
Sempre più spesso, infatti, le persone si rifugiano all’interno della foresta per sfuggire al caldo e alla siccità, ma anche ai conflitti sulla terra e sul bestiame che, a causa della condizione precaria, finiscono con lo scoppiare sempre più frequentemente.
Una volta all’interno della foresta, si genera spesso una sorta di circolo vizioso per cui le persone per poter trovare una fonte di reddito si dedicano a raccogliere e bruciare legno per produrre carbone, alimentando la deforestazione e dunque generando ulteriori conseguenze negative in termini di aumento delle temperature, oltre che di perdita della biodiversità. Basti pensare che dal 1973 al 2015 la foresta di Kirisia ha perso circa il 21% della sua copertura arborea, con le maggiori perdite che hanno riguardato proprio le specie indigene come il sandalo e il cedro rosso, massicciamente usato sia come legna da ardere sia come materiale da costruzione.
Le donne Samburu riunite per salvare la foresta
A cercare di invertire questa rotta, coniugando salvaguardia del territorio e promozione della parità di genere, è arrivato ora un progetto coordinato dal BOMA Project e finanziato dal Climate Justice Resilience Fund di Washington che coinvolge 550 donne Samburu in attività di protezione e gestione delle risorse forestali.
Si tratta di un’iniziativa importante in una zona che ha visto tradizionalmente le donne escluse dalle attività economiche e da ruoli di responsabilità e che oggi, invece, a seguito di un iniziale periodo di formazione, si ritrovano a ricoprire incarichi gestionali fondamentali. Questo cambiamento nell’approccio di genere non riguarda soltanto il Kenya, ma sta trovando spazio anche in altre regioni dell’Africa subsahariana, soprattutto per via della necessità di trovare nuove forme di sussistenza quando gli uomini, a causa della siccità, sono costretti ad abbandonare i villaggi alla ricerca di pascoli o di nuovi lavori in città, lasciando alle donne il compito di provvedere alla sussistenza della famiglia.
Le donne Samburu, riunite nella Community Forest Association, si occupano di tutelare la foresta seguendo rigidi protocolli delineati in un piano di gestione forestale che loro stesse hanno contribuito a redigere e che prevedono, ad esempio, il divieto di abbattere alberi indigeni o di bruciare carbone, mentre è ben accetta tanto l’apicoltura quanto la raccolta di gomma resina medicinale, così come la piantumazione di alberi che possano aiutare a recuperare la copertura arborea andata perduta nel corso degli anni.
Un approccio che sta giovando tanto alla foresta, quando all’economia locale, dimostrando ancora una volta quanto evidenziato ormai da diversi studi, che hanno sottolineato gli effetti positivi di una gestione delle risorse naturali da parte della popolazione locale.
“Avere la comunità al comando ha fatto una grande differenza” ha dichiarato Douglas Leboyare, Presidente della Community Forest Association.
Dal Kenya alla Namibia – dove le popolazioni indigene e i gruppi di conservazione locali hanno collaborato con successo per ripopolare la fauna selvatica del posto – progetti che fondono tutela del territorio e sostegno alla popolazione sembrano in espansione e per una volta ogni tanto ci danno la possibilità di parlare non solo di circoli viziosi, ma anche di circoli virtuosi.