Il cambiamento climatico causerà una crisi

L’epoca del clima

We are at a climate moment. “Siamo nell’epoca del clima, caratterizzata dalla crisi climatica. E ora dobbiamo spingere a tutta forza per cambiare rotta. Abbiamo già perso molto tempo: in questi 30 anni, da quando abbiamo iniziato a parlare di cambiamento climatico, abbiamo continuato a peggiorare la situazione: è aumentata la temperatura, sono aumentate le emissioni. Abbiamo, è vero, iniziato a costruire un movimento globale per cambiare direzione. Ma ora dobbiamo davvero andare veloci.” E’ stato “buon profeta”, purtroppo, Bill Mc Kibben, una delle prime voci a parlare in modo molto chiaro, da ormai più di 30 anni di cambiamenti climatici, nel suo famoso libro, The end of nature (1989), cercando di suonare la sveglia dell’allarme climatico. Ma, come ben sappiamo, non è certo bastato.

In un editoriale pubblicato sull’Economist del 23 febbraio 2019, veniva posto in evidenza che, per le sue caratteristiche, il riscaldamento globale è “un problema diabolico per l’umanità, urgente ma affrontato con il rallentatore, immediato ma distante, reale ma nello stesso tempo astratto”. 

Infine, da diverso tempo, ormai, si sente ripetere che la persistente pandemia da COVID-19 ha innescato, molto probabilmente, la peggiore crisi economica dal secondo dopoguerra ad oggi, testimoniata anche dall’ondata di nuovi poveri che affollano i servizi assistenziali sul territorio.

Crisi pandemica e crisi climatica a confronto

Eppure, se paragonata a quella che ci attende se resteremo inermi di fronte al riscaldamento globale ed alla conseguente crisi climatica, questa drammatica recessione da pandemia, impallidisce. Infatti, a causa della crisi climatica e se non si riuscirà a rallentare fortemente e costantemente le emissioni di gas a effetto serra (GHG), l’economia dei Paesi ricchi si contrarrà di più del doppio rispetto a quanto già fatto con la crisi legata al Covid-19. E’ quanto emerge dal recente studio “The economics of climate change: no action not an option, nato da una ricerca condotta da Oxfam e dallo Swiss Re Institute (il centro di ricerca che fa capo all’omonimo gruppo assicurativo Re). Le perdite a livello mondale, in termini di PIL, per i paesi del G7 – vale a dire i più ricchi e più industrializzati del pianeta (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Canada, Italia e Giappone) – ammonteranno all’8.5% di PIL all’anno, cioè quasi 5 triliardi di dollari spazzati via dalle loro stesse economie, se entro trent’anni le temperature globali medie si alzeranno di 2.6° C (cosa che, purtroppo, secondo i ricercatori, accadrà sicuramente, almeno secondo gli attuali obblighi e le odierne politiche economiche mondiali). Detto molto concretamente, non fare nulla per il clima nei prossimi 30 anni (ossia, continuare con il c.d. business as usual), significa condannarsi a patire l’equivalente di due pandemie ogni anno: di fatto, con l’attuale traiettoria, il PIL globale potrebbe essere inferiore dell’11-14% entro il 2050, rispetto a un mondo senza cambiamenti climatici. Ma il fatto ancora più preoccupante, è che la crisi climatica è, purtroppo, destinata a durare: e non esiste alcun vaccino per combatterla.

I Paesi più poveri sono anche più esposti alla crisi

Lo studio del Swiss Re Institute, che proietta le conseguenze dei cambiamenti climatici su 48 paesi, prevede – per ciascuno di essi – un vero e proprio tracollo dell’economia, come evidenziato dal Climate Economics Index che mette, appunto, alla prova come i rischi climatici avranno un impatto su 48 paesi che rappresentano il 90% dell’economia mondiale e classifica la loro resilienza climatica complessiva mostrando il fatto che tutti i paesi saranno colpiti, ma alcuni saranno più vulnerabili e più colpiti di altri.

E anche se, ad esempio, l’economia del Regno Unito perderebbe un 6,5 % all’anno dal 2050 – sempre seguendo le attuali politiche climatiche e proiezioni (una cifra significativa soprattutto se paragonata al 2,4% annuale, nel caso in cui gli obiettivi degli accordi climatici di Parigi venissero raggiunti), in proporzione i paesi del G7 appaiono quasi privilegiati, visto che altre nazioni verranno colpite anche più duramente, come per esempio l’India, la cui economia si contrarrà del 27 % o le Filippine, che avrebbero un crollo addirittura del 35 %. L’Australia dovrà fronteggiare una contrazione dell’economia pari al 12.5% di perdite, mentre il Sud Africa e la Sud Corea, rispettivamente, del 17,8 % e del 9,7 %.

Il costo umano e sociale, durante la pandemia, è stato certamente ingente e lo dimostra – tra i tantissimi che si potrebbero fare – un esempio su tutti: nel mese di aprile 2020, il tasso di disoccupazione negli Usa è schizzato fino al 14,7 %, con un crollo verticale di occupazioni a basso reddito (-33,9 % rispetto allo stesso mese del 2019) e più contenuto ma, in ogni caso consistente, per quelle a medio reddito (-14,1 per cento), come riportato dal Pew Research Center, il 21 febbraio scorso. Ora le cose vanno un po’ meglio, con oltre 900mila nuovi posti di lavoro, nel solo mese di marzo 2021. Al di fuori di questo caso specifico, però, gli analisti prevedono che la normalità possa ristabilirsi piuttosto in fretta, anche grazie ai poderosi pacchetti di aiuti varati dai governi, come il Next Generation UE europeo. Questo, sempre e solo per quanto riguarda la crisi da COVID-19.

Cosa ci riserva il futuro?

Per riuscire a rimanere in linea con l’accordo di Parigi (quindi rimanere sotto i 2 °C di surriscaldamento globale entro fine 2100), i governi di tutto il mondo dovranno ridurre le emissioni di CO2 del 7-8% ogni anno, da qui al 2030: in sostanza, nel 2030, si dovranno emettere circa 25 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente (Gt CO2e), poco meno della metà del livello attuale (56 giga tonnellate). Come ribadito da Renee Salas, nel corso dell’anno appena trascorso, “abbiamo visto i danni delle nostre crisi convergenti, ossia Covid-19, disastri climatici e razzismo sistemico”. Il 2020 è stato “un’anteprima di ciò che ci aspetta se non riusciamo a fare urgentemente gli investimenti necessari per proteggere la salute”.

Per garantire alle generazioni future le basi non solo per sopravvivere, ma per prosperare, infatti, è necessaria ed urgente una risposta rapida e commisurata alle dimensioni di queste due sfide congiunte, “che privilegi il rafforzamento dei sistemi di assistenza sanitaria, investa nelle comunità locali e garantisca aria pulita, acqua potabile sicura e cibo nutriente”.

I ricercatori delle 35 principali istituzioni accademiche e agenzie delle Nazioni Unite – che hanno redatto il Lancet Countdown – suggeriscono delle politiche climatiche più ambiziose, che limitino il riscaldamento a 1,5 °C entro il 2100, e che genererebbero un beneficio economico globale di circa 264–610 trilioni di dollari. L’obiettivo principale delle Nazioni Unite, nel 2021, sarà quello di costruire un’alleanza globale, per riuscire a ridurre a zero le emissioni di anidride carbonica, entro la metà di questo secolo. “La crisi climatica sta già devastando le vite dei paesi più poveri, ma le economie più sviluppate del mondo non ne sono immuni. Il governo del Regno Unito ha l’opportunità irripetibile di guidare il mondo verso un pianeta più sicuro e più vivibile per tutti noi. Il governo britannico, con la imminente COP 26, ha una di quelle opportunità che capitano una sola volta in una generazione di dare il buon esempio trasformando le promesse in azioni”, dice Danny Sriskandarajah, amministratore delegato di Oxfam GB.

Secondo Jerome Hägeli, capo economista del gruppo Swiss Re, “Il cambiamento climatico, a lungo termine, rappresenta perciò il rischio numero uno per l’economia globale e rimanere dove siamo non è un’opzione accettabile: abbiamo bisogno, infatti, di maggiori progressi da parte del G7. Ciò significa, non solo l’obbligo di ridurre drasticamente le emissioni di CO2, ma anche aiutare i paesi cosiddetti in via di sviluppo”..

Infine, anche la rivista medica The Lancet, recentemente, ha lanciato l’allarme attraverso il proprio report annualeCountdown on Health and Climate Change” evidenziando come la crisi climatica e la pandemia da Covid-19, siano due questioni strettamente legate e che “qualsiasi risposta al cambiamento climatico deve sfruttare, piuttosto che danneggiare, questa connessione fra clima e salute”. Dalla ricerca emerge un’inversione precoce, ma sostenuta, delle tendenze positive identificate nei report precedenti di The Lancet, il cui risultato è che le emissioni globali di CO2 continuano ad aumentare costantemente, senza nessun convincente o prolungato abbassamento, con il conseguente aumento attuale della temperatura media globale di 1,2 °C. Nonostante i numerosi segnali preoccupanti, tuttavia, la risposta globale al cambiamento climatico si è attenuata e gli sforzi nazionali continuano a essere inferiori agli impegni assunti nell’Accordo di Parigi.

E’ proprio da questo preoccupante quadro, che nasce l’appello lanciato da Max Lawson – Responsabile delle politiche per la disuguaglianza di Oxfamai leader politici che si riuniranno in Cornovaglia, per il G7 il prossimo 11 giugno: Le motivazioni economiche per l’azione per il clima sono chiare. Ora serve che i governi del G7 agiscano in modo incisivo, nei prossimi nove anni, per tagliare le emissioni e incrementare la finanza climatica. “Il dissesto economico previsto nei ricchi paesi del G7 è solo la punta dell’iceberg: molte parti più povere del mondo vedranno aumentare i decessi, la fame e la povertà come risultato del meteo estremo”, continua Lawson.

Già in un precedente rapporto, Oxfam aveva messo in evidenza come, nell’arco di appena nove mesi, i patrimoni delle mille persone più facoltose del Pianeta sono già tornati ai livelli del pre-Covid, mentre per le fasce più povere saranno necessari almeno dieci anni. Secondo la Fao, l’organizzazione Onu per l’alimentazione e l’agricoltura, 132 milioni di persone in più rischiano di soffrire la fame a causa della pandemia. “Quest’anno potrebbe essere un punto di svolta se i governi cogliessero la sfida di creare un Pianeta più sicuro e più vivibile per tutti”.

La piena pandemia in cui siamo ancora vivendo, ha evidenziato le molte fragilità del modello di sviluppo economico adottato negli ultimi 30 anni, basato da un lato su una progressiva concentrazione dei poteri economici e, dall’altro, sull’aumento netto delle disuguaglianze (tra paesi e regioni del mondo e, all’interno degli stessi paesi, tra comunità e tra gruppi sociali), rendendo urgente il ritornare ad occuparsi della crisi climatica, accantonata per mesi nel discorso pubblico, proprio a causa dell’emergenza sanitaria, partendo proprio dalla presa di coscienza del forte legame tra le due crisi: sanitaria e ambientale-climatica.

E’ necessario, quindi, mantenere molto alta l’attenzione sul mondo politico ed economico, affinché le proposte che vengono dalle comunità locali e globali e dai vari protagonisti del mondo della ricerca, della scienza, della cultura, dalle organizzazioni della società civile, dai ragazzi dei movimenti come Fridays for future e tanti altri gruppi e associazioni, siano effettivamente non solo ascoltate a livello di facciata ma concretamente incorporate in politiche, linee di finanziamento, impegni precisi presi dalle città, dai governi, dalle aziende a tutti i livelli di organizzazione sociale.

Così come si è cominciato, si conclude questa riflessione, citando un’importante linea di azione, suggerita proprio da Bill Mc Kibben: “Dobbiamo effettuare la transizione verso forme di energia pulita. Dobbiamo smettere di usare le fonti fossili, questa è l’azione più urgente. Dobbiamo riuscire a fermare le grandi aziende che usano il loro immenso potere per continuare a promuovere l’uso delle fonti fossili prima che loro distruggano il pianeta.” Pur utilizzando toni duri e perentori (arrivando anche a dire “We are in a desperate place”, siamo in una situazione disperata), Mc Kibben riconosce la grande importanza dell’azione del movimento globale, nato contro la crisi climatica, e che si muove un po’ ovunque sul pianeta. “Dobbiamo ringraziare soprattutto i ragazzi e le ragazze perché sono loro che hanno accelerato il movimento. – sottolinea – Dobbiamo ringraziarli e scusarci con loro per non aver fatto abbastanza fin qui. È davvero patetico scaricare sulle spalle degli adolescenti un problema di questa portata. Dobbiamo lavorare con loro e fare del nostro meglio.”

1 commento

  1. Grazie Claudio per l’ottimo quanto disperantecontributo! Purtroppo non mi.pare abbondino segnali di cambiamento corca il comtrasto al climat change…ma mettere in rete dati e informazione divulgabile é prezioso e indispensabile.

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