Cambiare alimentazione per salvare il Pianeta
Vegetables and meat for roe deer with pork and beef horizontal

Agricoltura e allevamenti intensivi sono nemici del Pianeta

Il modo in cui mangiamo non è sostenibile per il Pianeta, la scienza ce lo dice da tempo e a confermarcelo arriva anche il nuovo report Chatham House, sostenuto dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente e da Compassion in World Farming, che analizza l‘impatto del sistema agroalimentare sulla perdita di biodiversità.

Allo stato attuale per sfamare una popolazione mondiale in costante crescita, si ricorre in maniera sempre più diffusa all’agricoltura e agli allevamenti intensivi, che consentono di produrre molto cibo in poco tempo e a basso costo. Per ottenere questi risultati, sottolinea il report, le grandi aziende che operano nel settore agroalimentare ricorrono sempre di più a pesticidi e fertilizzanti, consumano sempre più energia, acqua e suolo con risultati disastrosi in termini di salute nostra e del Pianeta.

Le falde acquifere, sempre più sfruttate, rischiano di esaurirsi, il suolo si va via via impoverendo e i costi sanitari per trattare le conseguenze determinate dal cibo di qualità sempre più scarsa che mangiamo vanno aumentando, come vanno aumentando le emissioni di CO2 legate ad agricoltura e allevamenti. Secondo un recente studio elaborato da Greenpeace, gli allevamenti intensivi producono da soli il 17% delle emissioni totali di gas serra nell’Unione Europea e nella sola Europa il settore agricolo è responsabile dell’emissione di 400 milioni di tonnellate di CO2 l’anno, segnale evidente che, se vogliamo rispettare l’Accordo di Parigi, quello dell’agroalimentare è tra i primi settori a dover essere riconvertiti in direzione di pratiche più green.

C’è poi la questione, che il report Chatham House mette al centro della sua indagine, della perdita di biodiversità che il nostro modo di mangiare, così come attualmente inteso, sta causando. Il primo e più forte monito che arriva dallo studio è uno: dobbiamo mangiare meno carne e più vegetali. Il che, gli autori ci tengono a sottolinearlo, non significa spingere la popolazione mondiale ad adottare necessariamente una dieta vegana, ma soltanto chiarire le ragioni per cui è necessario ridurre il consumo di carne in favore di verdure e legumi affinché si preservi la biodiversità, senza la quale è impensabile tutelare la salute nostra e del Pianeta. Basti pensare che la sola agricoltura, così come praticata oggi su larga scala, rischia di portare alla scomparsa ben 24.000 delle 28.000 specie attualmente considerate a rischio di estinzione.

Meno carne, più aree protette e sistemi di produzione più sostenibile: la ricetta per salvare il Pianeta

Come invertire, dunque, la rotta?

Il report in questo senso è molto chiaro e indica tre priorità assolute per avviare una conversione ecologica e ripensare le nostre diete. Oltre alla necessità di sostituire il più possibile la carne con i vegetali, lo studio ci dice che i nostri compiti sono quelli di ridurre lo spreco alimentare, tutelare la natura attraverso la creazione di più aree protette e, soprattutto, dare vita a sistemi di coltivazione più sostenibili.

Per quanto riguarda lo spreco alimentare qualche passo avanti negli ultimi anni è stato compiuto, ma la situazione è ancora decisamente inadeguata e i dati pubblicati in occasione della Giornata contro lo spreco alimentare – che ricorre proprio oggi – ce lo dicono chiaramente: soltanto nel 2020 sono state buttate 1.661.107 tonnellate di cibo provenienti dalle case, solo nel nostro Paese si calcola che ognuno di noi generi circa 65 chili di rifiuti alimentari l’anno.

Centrale resta anche l’urgenza di azioni che evitino un uso quasi esclusivo della terra per scopi agricoli; in questo senso nell’Unione Europea qualcosa si è iniziato a muovere, visto l’inserimento all’interno della strategia UE sulla biodiversità 2030 dell’obiettivo di creare zone protette per almeno il 30% della superficie terrestre e marina europea, a cui dovrebbero affiancarsi operazioni di ripristino degli ecosistemi più degradati, obiettivi per i quali i ministri dell’ambiente europei hanno concordato di sbloccare 20 miliardi di euro all’anno.

Più complessa, se possibile, è la questione che riguarda la conversione green dei sistemi di produzione, che dovrebbe passare innanzitutto attraverso una regolamentazione ben più ferrea in materia di deforestazione, ma che dovrebbe riguardare anche, ad esempio, un abbandono della monocoltura per lasciare spazio a pratiche agricole di policoltura, meno impattanti in termini di impoverimento del suolo.

Insomma, ancora una volta la scienza ce lo dice chiaramente: è tempo non solo che la politica avvi riforme serie in materia agricola e che la aziende diano vita a sistemi produttivi più sostenibili, ma anche che ognuno di noi acquisisca consapevolezza di quanto ciò che quotidianamente mettiamo sulle nostre tavole impatti sull’ambiente e che inizi ad accettare il cambiamento delle vecchie abitudini come passo necessario per proteggere la salute non solo del Pianeta, ma anche di tutti noi che lo abitiamo.

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