Magliette che diventano cibo
Young woman sorting the old clothes and recycling them in eco containers

Una moda insostenibile

Magliette di polpa di eucalipto, faggio e alghe, ma anche borse e scarpe di pelle di cactus: sono le nuove frontiere per un’industria della moda improntata alla sostenibilità e all’economia circolare.

Negli ultimi anni, il rapido diffondersi di catene che vendono indumenti e accessori a basso costo ha reso quello della moda un settore sempre più inquinante. La possibilità di comprare capi a pochi euro ha infatti aumentato in modo esponenziale la mole di acquisti fatti in media dai consumatori; la corsa all’acquisto compulsivo di prodotti per la maggior parte scadenti, o frutto di condizioni lavorative scarsamente controllate, ha come diretta conseguenza l’aumento vertiginoso dei rifiuti tessili. Secondo una stima fornita dall’Environmental Protection Agency, dal 1960 al 2015 i rifiuti tessili sono aumentati ben dell’811%; migliaia di tonnellate di rifiuti provenienti dalla moda finiscono ogni anno nelle discariche per essere bruciati e divenire causa di nuove emissioni di CO2, tanto che, in termini di inquinamento, l’industria tessile risulta essere seconda soltanto a quella del petrolio.

Una moda per il Pianeta

Per combattere l’impatto ambientale dell’industria della moda, ormai sempre più aziende si sono messe alla ricerca di nuovi modi di produzione che siano non solo più sostenibili, ma anche più rispettosi della vita degli animali e, perché no, persino utili all’ambiente.

È il caso, ad esempio, della T-shirt Plant and Algae, una maglietta intessuta con filo ricavato dalla polpa di eucalipto e faggio, le cui stampe vengono realizzate servendosi delle alghe. Ma l’idea di Nick e Steve Tidball non si esaurisce qui: la loro innovativa t-shirt, infatti, non solo è realizzata con materie prime sostenibili, ma diventa anche ottimo cibo per vermi e altri animali! La maglietta infatti è biodegradabile e quando non viene più utilizzata può essere seppellita tranquillamente in giardino e nel giro di un anno gli animali potranno cibarsene senza alcun problema.

Ma non è la sola novità messa in campo negli ultimi tempi: sempre più piede sta infatti prendendo l’uso della pelle di cactus in sostituzione del pellame derivante dagli animali.

L’idea, partita da una coppia di giovani messicani e ormai acquisita anche da alcune aziende italiane, è quella di fornire una soluzione alternativa all’uso della pelle animale che sia al contempo non inquinante (come è l’ecopelle, prodotta dalla plastica) e di qualità, con risultati non dissimili da quelli della pelle che siamo sempre stati abituati ad usare.

Il processo, che di primo acchito si può pensare essere particolarmente complesso o sofisticato, in realtà è piuttosto semplice: basta raccogliere le foglie più mature della pianta , pulirle, lasciarle asciugare al sole per tre giorni e poi sottoporle a lavorazione ed ecco che questa “nuova pelle” sarà pronta per dare vita ad abiti e accessori che non hanno causato danni al nostro Pianeta.

Soluzioni di questo tipo si stanno rapidamente diffondendo; si va dall’uso di reti da pesca e di rifiuti riciclati, a quello delle bucce delle mele e degli scarti del caffè, passando per le bucce delle arance delle due giovani ragazze siciliane che, appena qualche anno fa, hanno rivoluzionato il mondo della moda dando vita alla startup Orange Fiber, oggi realtà affermata anche nell’alta moda.

Anche nella mondo dell’industria tessile, dunque, qualcosa sembra muoversi in direzione di cicli produttivi più sostenibili, ma non per questo incapaci di dar vita a prodotti di alta qualità. Quel che è necessario, ora, è che la consapevolezza dei danni che i nostri acquisti sconsiderati, anche in campo di vestiario, creano sull’ambiente è enorme, ma altrettanto necessario è rendere sempre più accessibili queste innovazioni nel campo dell’industria tessile, per far sì che sempre più persone prediligano soluzioni che aiutino il Pianeta.

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