Il mare è in fiamme
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Il riscaldamento climatico riguarda tutti gli ecosistemi, sulla terraferma come in mare. Quest’ultimo, poi, immagazzinando grosse quantità di energia proprio con l’aumento delle temperature, fa sì che i fenomeni atmosferici diventino sempre più violenti e frequenti. Lo chiarisce il report scritto da Antonello Pasini, fisico del clima del Cnr, pubblicato il primo dicembre, in collaborazione con Greenpeace Italia.

Un riscaldamento non solo “terrestre”

Il fenomeno del riscaldamento globale è estremamente complesso ed al suo interno entrano in gioco svariati fattori. Tra i protagonisti principali ci sono certamente gli oceani, che riescono ad immagazzinare al proprio interno grandi quantità sia di calore sia di CO2. I mari, quindi, sono dei veri e propri “regolatori del nostro clima”, come li definisce Pasini nel suo scritto. Il fatto che assorbano calore, però, non è sempre un “bene”. Infatti, per i principi ben spiegati dalla termodinamica, il calore immagazzinato, viene “dato” all’atmosfera, con conseguenze disastrose.

Più caldo, più tempeste

Il sistema marino è in stretta correlazione con l’atmosfera. Più calore, infatti, vuol dire una maggiore evaporazione e quindi formazione di nubi, le quali, poi, cariche di “energia accumulata” la scaricano in maniera violenta, sotto forma di piogge e venti. Quindi fenomeni più frequenti e molto più intensi, con tutte le conseguenze che ne derivano. A conferma di ciò, ci sono i dati degli studi condotti sugli uragani originatisi sull’oceano Atlantico: negli ultimi 40 anni quelli più forti sono aumentati del 15%, in corrispondenza di un aumento della temperatura superficiale delle acque.

Un problema non solo oceanico

Anche il mar Mediterraneo risente dei cambiamenti climatici e del riscaldamento delle acque. “Feroci” anticicloni africani fanno capolinea sempre più spesso a queste latitudini, “causati dall’espansione verso nord della circolazione equatoriale e tropicale dovuta dal riscaldamento globale di origine umana”, come afferma il fisico del Cnr. Andando via, lasciano il posto a correnti fredde provenienti da Nord, e questo scontro caldo-freddo, è alla base di eventi atmosferici intensi. Ciò fa sì che anche in Italia i fenomeni meteorologici diventino sempre più violenti, con conseguenze addirittura mortali. Basti pensare all’aumento delle “acque alte” a Venezia, causate soprattutto da un cambiamento di circolazione nel Mar Mediterraneo: fino agli anni ‘50 se ne contavano da 2 a 8 in un decennio di livelli superiori ai 110 centimetri. Tra il 2010 e il 2019 ce ne sono state 95; o il tornado formatosi nel golfo di Taranto nel 2012, costato la morte di un uomo e 60 milioni di euro di danni. Secondo uno studio dello stesso Pasini, in collaborazione con Marcello Miglietta del Cnr di Lecce, se il Mar Ionio avesse avuto una temperatura superficiale di un grado inferiore, non si sarebbe formata la tromba d’aria.

In un Paese come l’Italia, dominato da fragilità endemiche, causate dalla costruzione di edifici in aree di rischio, alla “tombatura” di torrenti e piccoli fiumi, e a tutte le problematiche idrogeologiche del Bel Paese, un intensificarsi dei fenomeni atmosferici, potrebbe avere conseguenze catastrofiche.

Danni anche alla fauna

Come detto inizialmente, gli oceani contribuiscono anche all’immagazzinamento dell’anidride carbonica. Questo, però, con l’aumentare dei gas serra, sta superando dei limiti preoccupanti: l’acidificazione delle acque che ne consegue, causa danni ai gusci di piccoli animali marini che costituiscono gran parte del plancton, elemento base della catena alimentare marina.

In più, l’aumento delle temperature, fa sì che arrivino nei mari specie aliene, prima non presenti, con danni irreparabili agli ecosistemi e alla fauna marina, anche nel Mediterraneo, dove si parla di un aumento di circa 2° delle temperature di superficie delle acque negli ultimi 50 anni.

Cosa fare?

Come affermato anche dal report del fisico Pasini, la prima cosa da fare è combattere l’immobilismo dei decisori, spesso ancorati a visioni sorpassate di un ambiente dalle risorse illimitate, con uno sviluppo ancora basato sulle fonti fossili, che da sole rappresentano il 75% delle emissioni di gas serra (il restante 25% proviene dalla deforestazione, dallo scorretto uso del suolo e dall’agricoltura non sostenibile). Bisogna capire che, l’ecosistema marino, tocca ognuno di noi: 800 milioni di persone abitano in oltre 570 città costiere, e un innalzamento del livello dei mari e un intensificarsi dei fenomeni atmosferici avrebbe conseguenze disastrose su tutti i fronti.

A questo punto è chiaro come l’appello di Pasini sia quanto più urgente: “Serve una cultura della legalità e la costruzione di una cultura del rischio” – afferma il fisico – “spesso si pensa che il clima sia affare delle generazioni future, ma il Covid-19 ci ha fatto capire che i fenomeni a crescita rapida possono andare fuori dal nostro controllo. Dobbiamo agire in fretta.” Virus, quest’ultimo, che ha strettissimi legami con la crisi ambientale in atto causata dall’Essere Umano.

Concludendo, sempre lo scienziato aggiunge nel suo testo: “Nel caso dei cambiamenti climatici possiamo agire sulla violenza dei fenomeni estremi con la mitigazione, ma anche sulla vulnerabilità dei territori con azioni di adattamento che li rendano più resilienti. Se poi i grandi della Terra non si mettono d’accordo, tocca a noi cambiare in prima persona, prendendo coscienza del problema, cambiando il nostro stile di vita, spingendo anche i nostri politici affinché adottino politiche climaticamente efficaci e scientificamente fondate. I risultati si vedranno tra qualche decennio, ma possiamo sicuramente farcela.”

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