I rifiuti sono la conclusione di un processo di consumo: ciò che resta alla fine.
I rifiuti, quei materiali che noi chiamiamo rifiuti, sono per lo più materiali non più utilizzati di origine umana. Fino a alla metà del XX secolo, quelli che potremmo chiamare rifiuti sono oggetti perlopiù contenuti in teche museali o in siti archeologici.
Basti pensare al “Monte dei cocci” a Roma o all’Ironbridge Gorge Museum, a Telford nello Shropshire o ai tanti musei archeologici o che custodiscono reperti delle guerre mondiali.
Dal secondo dopoguerra in poi i rifiuti incominciano ad accumularsi sempre più velocemente e l’aumento esponenziale della produzione da un lato e la sintesi di nuove molecole, non biodegradabili, dall’altro hanno segnato una nuova fase nella storia della vita sulla terra.
Quindi scrivere ed occuparsi di rifiuti, oggi, non è solo più studiare e descrivere il passato, ma anche e soprattutto occuparsi del futuro.
Dall’antropocene al plasticocene
Da Angelo Stoppani, che già nel 1873 evidenziava come le attività umane stessero modificando strutturalmente il pianeta, all’introduzione del termine antropocene da parte del biologo statunitense Eugene Stoermer, è passato un secolo, sono occorsi altri vent’anni, perché il termine si diffondesse, grazie al premio Nobel Paul Crutzen, ma il golden spike, ovvero l’evento globalmente riconosciuto che segna il passaggio da un’era all’altra, è estremamente recente ed è del 2018.
Il passaggio dall’Olocene, iniziato circa 11.700 anni fa in seguito alla glaciazione Würm, all’Antropocene sarebbe avvenuto nel 1965.
Una ricerca pubblicata su Nature ha individuato nell’unico individuo di peccio sopravvissuto sull’isola Campbell, 600 chilometri a sud della Nuova Zelanda, tracce di isotopi di carbonio provenienti dai test nucleari.
Il passaggio è molto recente, dunque, ma rischia di essere rapidamente archiviato da un altro passaggio di era.
Ormai, infatti, non c’è luogo al mondo, dalla fossa delle Marianne ai ghiacciai delle Alpi al Polo Nord, che non riveli tracce di plastica.
Il Plasticocene o Plastic Age è un’intuizione degli anni ’80 del XX secolo.
Una delle prime pubblicazioni scientifiche è del 2009 dal titolo “La nostra età della plastica” descriveva chiaramente la situazione corrente, allora, e i trend futuri esaminando i benefici per l’uomo, le conseguenze ambientali dovute alla degradazione delle plastiche, all’accumulo di frammenti nell’acqua, negli animali selvatici e le possibili conseguenze sulla salute umana. Gli autori proponevano anche una serie di soluzioni attraverso la ricercar e l’adozione di misure politiche, prioritarie e la loro necessaria implementazione.
Questa pubblicazione è stata pressoché ignorata.
Uno studio più recente, pubblicato nel settembre del 2019, ha analizzato per la prima volta la presenza di plastiche nei sedimenti, prendendo in esame strati annuali della costa californiana, dal 1834 ad oggi, trovando tracce di plastica costantemente negli ultimi 70 anni.
In particolare, la ricerca ha scoperto che dagli anni ’40 del XX secolo, la quantità di plastica individuata nei sedimenti, è raddoppiata ogni 15 anni circa. Nel 2010, l’anno più recente analizzato, la presenza di plastiche aveva raggiunto quasi 40 particelle ogni 10 cm quadrato di superficie del fondo oceanico.
Due terzi delle particelle erano fibre di plastica, un quinto erano frammenti decomposti di altra plastica e un decimo erano film di plastica.
Secondo gli autori da quando la plastica è stata sintetizzata è immediatamente visibile nei “registri sedimentari.”
La direttiva europea 904
Il 5 giugno 2019, a dieci anni dall’articolo di Thompson e dei suoi colleghi, l’Unione Europea è stato il primo gruppo di Paesi al mondo ad adottare ufficialmente una misura politica il cui obiettivo è quello di contenere la produzione di plastiche ed assicurarne un corretto trattamento diminuendone la dispersione in natura.
Sono 18 gli articoli della direttiva, finalizzata alla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente, che gli Stati Membri e dunque l’Italia dovranno recepire entro il 3 luglio 2021.
Come spesso accade è nelle premesse che si leggono le informazioni e le considerazioni più interessanti e dovremmo tutti soffermarci a capire come le norme devono essere solo uno strumento di regolazione, un semplice aiuto all’applicazione di norme di buon senso.
“Anche se la plastica svolge un ruolo utile nell’economia e trova applicazioni essenziali in molti settori, il suo uso sempre più diffuso in applicazioni di breve durata, […], si traduce in modelli di produzione e consumo sempre più inefficienti e lineari.
La Strategia europea per la plastica rappresenta un passo avanti verso l’istituzione di un’economia circolare in cui la progettazione e la produzione di plastica e di prodotti di plastica rispondano pienamente alle esigenze di riutilizzo, riparazione e riciclaggio, e in cui siano sviluppati e promossi materiali più sostenibili. Il considerevole impatto negativo di determinati prodotti di plastica sull’ambiente, la salute e l’economia rende necessaria l’istituzione di un quadro giuridico specifico per ridurre efficacemente detto impatto negativo”.
L’obiettivo primario resto quello di ridurre la quantità di rifiuti prodotti. Purtroppo, anche se i vari documenti continuano a sottolinearlo nei casi più virtuosi ci si concentra sul riciclo, ma è fondamentale evidenziare come la prevenzione dei rifiuti è in cima alla gerarchia dei rifiuti come stabilito dalla direttiva 2008/98/CE e ribadito dal recente pacchetto per l’economia circolare. Anche perché la prevenzione contribuisce in maniera determinante alla conservazione delle risorse e al contenimento dell’inquinamento, in particolare marino.
I rifiuti marini, infatti, sono un fenomeno transfrontaliero riconosciuto come problema a livello mondiale di dimensioni sempre più vaste. Ridurre i rifiuti marini è un passo fondamentale per conseguire l’obiettivo 14 di sviluppo sostenibile dell’ONU: conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile.
Nell’Unione, dall’80 all’85 % dei rifiuti marini rinvenuti sulle spiagge sono plastica: di questi, gli oggetti di plastica monouso rappresentano il 50 % e gli oggetti collegati alla pesca il 27 % del totale. I prodotti di plastica monouso comprendono un’ampia gamma di prodotti di consumo frequente e rapido che sono gettati una volta usati, raramente sono riciclati e tendono pertanto a diventare rifiuti. Una percentuale significativa degli attrezzi da pesca immessi sul mercato non è raccolta per essere trattata. I prodotti di plastica monouso e gli attrezzi da pesca contenenti plastica sono pertanto un problema particolarmente serio nel contesto dei rifiuti marini, mettono pesantemente a rischio gli ecosistemi marini, la biodiversità e la salute umana, oltre a danneggiare attività quali il turismo, la pesca e i trasporti marittimi.
Secondo i dati diffusi dalla Commissione europea, grazie alla nuova direttiva, si trarranno benefici ambientali ed economici, in particolare si eviterà l’emissione di 3,4 milioni di tonnellate di CO2 equivalente; si ridurranno danni ambientali per un costo equivalente pari a 22 miliardi di euro entro il 2030; si genereranno risparmi per i consumatori pari a circa 6,5 miliardi di euro.
Le principali misure della direttiva
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una riduzione del consumo di contenitori per alimenti e tazze per bevande da asporto;
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restrizioni all’immissione in commercio di plastica monouso con alternative prontamente disponibili, in particolare dal 2021 verranno vietate posate e piatti in plastica, cannucce, bastoncini per le orecchie, agitatori per bevande, aste a sostegno dei palloncini gonfiabili, contenitori per alimenti e per bevande in polistirene espanso, tazze per bevande in polistirene espanso;
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adozione di misure di sensibilizzazione e regimi di responsabilità estesa del produttore per tutti gli articoli che non rientrano nella misura di restrizione di mercato, al fine di contribuire al costo della prevenzione, della gestione dei rifiuti, compresi i costi di trattamento.
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obblighi di etichettatura per informare i consumatori sul corretto smaltimento dei rifiuti, sul contenuto di plastica e sull’impatto ambientale.
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Misure relative alla progettazione dei prodotti ad esempio il tappo delle bottiglie per bevande non dovrà staccarsi, ma rimanere attaccato alla bottiglia.
4 Direttiva (UE) 2019/904